Legnago e Salieri, al festival in bicicletta

Salieri Opera Festival

"Musica! Celeste imitazion della Natura: quante grazie ti rendo per le ore felici che pel tuo mezzo io passai!” (A. Salieri, Vienna 22maggio 1822)

Una bicicletta e una borsa sono sufficienti per raggiungere la terra di origine mia e del Maestro e meritarmi così un posto al Salieri Opera Festival 2010 a Legnago. La giornata limpida disegna figure geometriche nei campi spogli di messi. Isolati campanili si mettono in antagonismo con gli elettrodotti e i prorompenti pioppi.

Macchie di topinambur ravvivano di giallo le rive smorte di fossati inermi e opachi.
Le gru dell'edilizia , pur se ferme, comunicano l'inarrestabile razzia di terreno agricolo. Roteano i falchi in cerca di prede, forse le stesse che cercano mattinieri cacciatori ecologisti.

A dovuta distanza, aironi e garzette osservano immobili. Dormono le stazioni, le strade, la gente e il capotreno. Il suono del cellulare risveglia il capotreno, mi appresto a scendere sul selciato umido di una stazione della mia bassa. La chiesa è illuminata da candele. La luce fioca ricrea l'atmosfera realistica e Salieri dopo aver appoggiato il candelabro, lentamente declama: “ mi ostino santissimamente, mi ostinerò a dire che, quando la musica è bene trattata al sacro testo essa prega per chi l'ascolta o si prega ascoltandola”.

Comprendo cosi, attraverso il programma che la produzione del compositore Legnaghese, regala novità in diversi generi musicali. Ma è di fronte alle tematiche sacre che egli rivela la sua fede profonda e l'atteggiamento di convinta partecipazione personale. E attribuendo alle parole la corretta musicalità, egli crea “ la superiorità dell'intento devozionale su quello specificatamente artistico”. Per poche ore cambio musica. Il tozzo campanile del mio paese, risuona vivace per la festa della sua chiesa. I canti che ascolto li riconosco. Li cantavo tanti anni prima.

I pochi amici che incontro sono gli stessi, solo cambiati nel viso e nei capelli. Sull'altare, senza chierichetti, mi appaiono stuoli di compagni. Visi incerti è vero. Solo uno, nitido, il mio, il chierichetto di allora. Con il candelabro tra le mani, intono l'antifona del salmo. Il mio sguardo sfugge a sinistra, per incontrarne un'altro in seconda fila. Ma la fila ora è vuota, e il coro intona già il gran finale. A casa, prelevando gli oggetti dalla borsa, quasi una brezza profumata mi investe.
Capisco e rinchiudo velocemente. I ricordi di cui è ripiena li voglio assaporare più tardi, lentamente.

“Musica! Celeste imitazion della Natura: quante grazie ti rendo per le ore felici che pel tuo mezzo io passai!”

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