Trieste - Riga I^, dall'Adriatico al Baltico in bicicletta

da Trieste a Riga (prima parte)

Il mare, la mia insegnante di inglese ed Auschwitz. Tre cose che apparentemente non hanno nulla in comune, ma che in realtà sono le basi che hanno fatto nascere questo ciclo-viaggio. Un viaggio dall' Adriatico al Baltico, la visita ad Oswiecim ( nome polacco di Auschwitz) e un salto a Riga, città natale della mia insegnante di inglese. Cartine alla mano, è stato sufficiente tirate una traccia (o meglio una Riga) aggiungere qualche deviazione turistica ed ecco preparato un viaggio

in collaborazione con barra aforismi

Trieste - Kamnik 130 Km.

L’obelisco di Trieste si scorge appena dall’‘uscita del campeggio. Il golfo è più in basso, all’orizzonte le coste croate e il porto industriale appena fuori città. L’immagine della partenza, di questo cicloviaggio in solitaria. I consueti mille dubbi e preoccupazioni scemeranno man mano che i chilometri scorreranno sotto le ruote. Pochi metri di salita, una curva a destra e lascio tutto questo alle spalle oltre il confine. Strade pulite, ordine urbano e rispetto per chi pedala: una caratteristica che gli sloveni hanno ereditato dai cugini tedeschi e austriaci. Immaginavo Postumia, nel mese di agosto, carica di turisti e pullman diretti alle grotte.

Mi ritrovo a mangiare il mio panino in un giardino pubblico tra l’indifferenza dei pochi passanti e lo sguardo affamato di un cane che mi fissa e quello seccato del suo padrone che vuol proseguire. La strada verso Lubiana corre parallela all’autostrada, ed è quindi orfana del traffico pesante e dei vacanzieri rivolti verso est. L’ombra delle numerose e ordinate foreste, rendono la giornata piacevole. Quasi non ci si accorge dei chilometri che passano e delle temperature agostane. La capitale si presenta subito con una pista riservata alle biciclette che accompagna i ciclisti fino in centro città.

Le auto sono numerose e potrebbero preoccupare, ma è sufficiente spostarsi, abbandonare l’arteria principale e trovare la Lubiana dei turisti e dei lubianesi. Isole pedonali, trenini su gomma, stazioni per il bike sharing. Dal castello posso vedere lo scorrere del fiume Ljubljanica e alzare lo sguardo verso le montagne della Savinja, dove conto di giungere per sera. Kamnik è un una piccola cittadina medioevale, la piccola sagra di paese mette l'appetito per le fumanti porzioni di crauti e maiale arrosto,il profumo è persistente e,data l’ora e i chilometri, particolarmente invitante.

Kamnik – Maribor 141 Km.

Lo scorrere del fiume a pochi passi dalla tenda non ha disturbato il mio sonno, così come il pensiero della prima salita del viaggio: i 658 metri del Prelac Koziak. Il paesaggio allevia le fatiche della strada che si inerpica anche con discrete pendenze. Piccoli orti e qualche villaggio qua e là, mucche pezzate al pascolo. Al passo mi fermo per una piccola sosta e per mangiare una fetta di torta offerta da un gruppo di allegri sloveni.

Nessun interessamento alla mia bici o al mio viaggio: l’appetito ha vinto sulla curiosità. Mi godo la discesa prima di finire sulla statale, leggermente più trafficata, che mi condurrà al centro di Celje e da qui a Maribor. Purtroppo la mia cartina non parla, non mi può dire cosa mi aspetta. Per almeno due ore mi trovo invischiato in una serie di sali scendi impressionanti per pendenza e continuità. La temperatura e la mancanza di acqua non aiuta.

Incrocio almeno quattro volte i binari della stessa linea ( che tentazione) e cartelli che minacciano pendenze da capre e tornanti da capogiro. Superato questo calvario mancheranno solo pochi chilometri a Maribor. Attraverso la Drava e la famosa ciclabile. Dopo aver visitato il centro, essermi rifornito di cartine e guide all ‘ufficio del turismo, mi dirigo verso il quartiere di Pohorie, partenza degli impianti invernali dove passerò la notte in campeggio.

Maribor -Bruck an der Mur 147 Km.

Immaginare che qualcuno possa concepire la costruzione di una rotonda stradale solo per biciclette ,credo che abbia sfiorato la mente solo di poche persone, tra questo c’è sicuramente un architetto sloveno che ha previsto una rotatoria sotto il livello stradale al solo uso pedonale e ciclistico. Qualche pedalata ed entro in Austria,dopo aver passato una dogana tanto grande quanto inutile. Subito un cartello mi invita nella radweg 2, una delle molteplici piste ciclabili che fanno dell’Austria uno dei paesi più bike-friendly d'Europa.

Posso permettermi il lusso di togliere il casco e pedalare in tutta sicurezza attraverso fitti boschi, aree attrezzate, incrociare pescatori, famiglie intere in bicicletta e una miriade di indicazioni e informazioni. Impossibile perdersi, la traccia mi porta diritto nel centro di Graz. Pranzo ai piedi della torre dell’ orologio, in compagnia dei numerosi tram e degli insoliti bike-taxi. Riprendo la ciclabile che si fa sterrata per alcuni chilometri per poi confluire in una statale che risale la valle del fiume Mur. Anche qui la vicina autostrada rende le mie pedalate più sicure e solitarie, i pochi villaggi lungo la strada si sono spopolati e offrono pochi punti di ristoro.

In uno di questi trovo alcuni anziani sorridenti bere birra e giocare a carte seduti ad un tavolino di un piccolo negozio di paese.”Italianen fascisten” mi apostrofano. Mi concedo comunque una foto con loro di cui non vado proprio orgoglioso. Pochi chilometri ed eccomi a Bruck an der Mur. Questa sera c’è un concerto dei Ricchi e Poveri, domani di Umberto Tozzi. Un motociclista tedesco rinuncia al dialogo accreditando il fatto che nessunn italiano parla bene l'inglese. Sono stanco, mi hanno dato del fascista, inizia a piovere e devo montare ancora la tenda e non ho voglia di nuovi incontri.

Bruck an der Mur – Vienna 184 km.

Oggi mi attende la salita al Semmering, località famosa per le prove di coppa del mondo di sci. Prendo la radweg 5, ma solo per pochi chilometri: ai continui saliscendi e ripetute deviazioni, preferisco la strada statale. Qui traffico inesistente, pendenze miti , sole e soprattutto vento a favore. In breve giungo in vetta. Dopo tanta fatica mi aspettavo qualcosa di più da vedere. La discesa offre panorami interessanti. Lunga e senza tratti pericolosi, mi accompagna sin quasi alle porte di Vienna.

Foto di rito con il cartello Wien. Mi trovo in una delle più grandi metropoli d’Europa e attraversarla non sarà sicuramente una cosa da nulla. I chilometri passano e il centro non si avvicina. Trovo diversi italiani che hanno cercato una valida alternativa alle affollate spiagge agostane. Vienna meriterebbe più tempo e meno frenesia. Il sole sta per calare e devo ancora attraversare il grande fiume blu e cercare il camping.

Dopo una rilassante e fresca pedalata nel Prater, attraverso il Danubio, lungo un ponte a due piani: sopra automobili e sotto biciclette. Resto sorpreso ancora una volta dalle attenzioni che gli austriaci dedicano alla ciclabilità. L’area per le tende del campeggio si rivelerà una grande Woostock ciclistica; accanto ad ogni tenda ci sono almeno due biciclette e ci sentiamo tutti una grande famiglia di vagabondi. Francesi e tedeschi i più numerosi. Divido la mia cena con Mirko: un ragazzo comasco che conclude il suo viaggio nella capitale austriaca. Birra, Wurstel e formaggio non è proprio la dieta adatta al ciclista e cicloturista. Il mio compagno racconta di essere partito da Saint Moritz e prima lungo la ciclabile dell’Inn e poi seguendo l'autostrada delle ciclabili “il Danubio” mi mette al corrente dei suoi numerosi incontri e disavventure. Un felice incontro che renderà più nostalgica la partenza del giorno successivo.

Vienna - Stara Turà 160 km.

Campagna austriaca, viti, girasoli e le montagne slovacche sullo sfondo. Pedalo in cerca di un punto per varcare il confine con la Repubblica slovacca. I problemi, non sono di natura politica , ma stradali. Durante la guerra fredda, le strade per varcare il confine erano poche e quasi inutili. Con la caduta della cortina di ferro non ne sono state aggiunte di nuove, così mi trovo a disegnare una zeta sulla cartina per poter entrare in Slovacchia.

Dieci chilometri di nulla, qualche postazione per bird -watching, una cappella votiva e una panchina in mezzo a campi di erba divisi nel mezzo da una striscia di asfalto. Un cartello di confine e soprattutto un bunker militare: il confine che mi appresto ad attraversare con una facilità che solo trent’anni fa era inimmaginabile. Sono curioso di vedere, di capire un po’ la Slovacchia e i paesi che hanno vissuto per decenni all’ombra dell’ Unione Sovietica.

Siamo ad un passo da casa ma mi immagino un mondo completamente diverso, con l’ingombrante avanzata del capitalismo, ma con la sporadica e rara presenza della vita passata. Attraverso il paese di Kuty. Ciottolato sconnesso e vecchio di decenni, auto da film russo anni 60, case tutte uguali, galline che razzolano per strada e canzoni popolari diffuse dagli altoparlanti per tutta la lunghezza del paese. Proseguo, contento, di aver assaporato un' altra piccola realtà. L’arretratezza incontrata nelle infrastrutture e nella qualità della vita, la ritrovo anche nel costo della vita quando al primo market e soprattutto nel campeggio di Stara Turà quasi mi vergogno nel pagare due euro richiestimi dalla ragazza che gestisce il camping.

Notte travagliata. Un gruppo di ragazzi arrivati a tarda ora non vogliono dormire. Dopo tocca ad un temporale tenermi sveglio. Sono ormai le 6,00 e tanto vale svegliarsi e prepare con calma la partenza. Medito un piccola vendetta nei confronti dei rumorosi vicini: posso fare anche io un po’ di baccano e disturbare il loro sonno. Resto però di sasso quando, uscendo dalla tenda, li trovo già svegli a fare armi e bagagli. La cosa più sorprendente è che si tratta di colleghi! Cicloturisti estremi, se considero che hanno dormito al massimo un' ora in tutta la notte e bevuto una abbondante quantità di birra. Mi stavano antipatici, ora li invidio.

Stara Turà - Skalitè 184 km.

Secondo la tabella di marcia questa sera , causa assenza di campeggi, dovrei dormire in albergo con l’intento anche di recuperare le ore di sonno perse la notte scorsa. La partenza è di quelle che demoralizzerebbero anche il più perverso e sadomasochista dei cicloturisti: mi immetto sulla statale e subito un cartello mi spara “ Zilina 120 Km”. E sulla cartina sembrano tutti dritti. Alternative non ce ne sono e quindi mi avvio di buona lena confidando in qualche paesaggio degno di nota o altre curiosità che possano rendere il viaggio più interessante.

Pronti via ed un biker locale si offre di scortarmi per alcuni tratti consigliandomi alcune scorciatoie ciclabili e una strada parallela meno trafficata anche se non segnalata. Mi racconta che sta andando al lavoro con la sua MTB e che si tratta di un prototipo che deve testare per un negozio. Gentilissimo prosegue oltre il dovuto ed ha pure la pazienza di mettersi in posa per una foto con me. Seguire il consiglio dell’amico biker si rivelerà una scelta azzeccata. La strada costeggia la montagna qualche leggero saliscendi, paesini quasi deserti e traffico assente, se non quello ciclistico. Una coppia di sessantenni,marito e moglie immagino, mi superano mi salutano e con un cenno mi fanno segno di mettermi alla loro ruota e stare in scia.

Rallentano il passo e i loro 27/28 chilometri orari per me sono una velocità più che dignitosa. Posso quindi vantarmi di avere anche due gregari, diciamo di esperienza. Ogni tanto, aumentano il ritmo, soffro un po’, mi perdo il paesaggio, ma reggo fino a che non prendono una direzione diversa. Nemmeno il tempo di rifiatare e questa volta sono io a superare una bicicletta. Si tratta di un operaio che torna a casa per il pranzo e pedala su un mezzo datato e riadattato alle sue esigenze. Sulla ruota posteriore, sopra il portapacchi, sono stati adattati un pannello di polistirolo di dubbia utilità ed un cestello piuttosto ingombrante. Il contenuto del cestello, forse valeva più dell’intera bicicletta: due birre, una bottiglia di latte, pomodori, un salame e una pagnotta in bella esposizione.

Accetta di farsi fotografare, ma solo mentre si pedala, probabilmente per la fame o per disinteresse nei miei confronti. Un lago formato dalla diga sul fiume Vah spezza un po' la monotonia del paesaggio, guardandomi attorno mi sembra di notare una Slovacchia diversa da quella di Kuty. Avvicinandomi ad una grande città come Zilina e alle montagne, il turismo e la metropoli hanno contribuito a dare un tocco di modernità in più a tutto ciò che incontro: dalle automobili ai negozi, dalle strade all’ abbigliamento delle persone. Persino i cartelloni pubblicitari ricordano quelli delle grandi multinazionali. A Zilina arrivo con grande anticipo ( merito dei miei due gregari?).

La gamba gira senza eccessiva fatica, le borracce sono piene e l’umore è alto; tutti fattori che mi spingono a proseguire in direzione nord verso il confine con la Polonia. Dopo essermi assicurato di trovare ancora da dormire salto anche l’ultima grande cittadina della Slovacchia e , scalato una salita di pochi chilometri entro a Skalitè. Un piccolo villaggio turistico ad un passo dal confine, diverse locande, qualche negozio di alimentari e un numero imprecisato di bar, tutti deserti. Capisco poi che si trovavano tutti nel mio albergo. Il mio arrivo ha interrotto, solo per qualche istante, i festeggiamenti di un matrimonio. La presenza di tanti invitati ha avuto per me conseguenze positive: servizio in camera (non mi potevo mica sedere con i parenti!) e cena stile pranzo nuziale Slovacco.

Skalitè – Katovice 130 km.

Forse una giornata di sole avrebbe travisato la realtà. Forse avrebbe reso meno lugubre e tetro un luogo tanto famoso quanto carico di tristi emozioni come Auschwitz. Il cielo è coperto, cupo, non dà speranze. Ieri in Italia a piovuto tutto il giorno e probabilmente è la stessa perturbazione che sta salendo verso nord-est. L'albergo è deserto. Dal frigo la colazione che la giovane cameriera mi aveva lasciato la sera prima esce congelata. Così posso solo fotografare formaggio, prosciutto, uova e verdure immangiabili.

Deve essere questa la giornata storta che bisogna aspettarsi in ogni viaggio. La pioggia cala, faccio le prime pedalate, poche centinaia di metri e sono in Polonia. Qualche saliscendi in questa valle dei monti Tatra che immagino essere bellissima, ma oggi ricoperta da nuvole basse, pozzanghere e un vento freddo che soffia in faccia, non riesco a vedere. L’abbigliamento da pioggia è appena sufficiente per contenere il diluvio successivo.

l laghi sono marrone e gonfi d’acqua, i boschi impenetrabili labirinti di muschio e umidità. Il mio sguardo è concentrato sulla strada, scivolosa e tempestata di pozzanghere dal fondo sconosciuto e pericoloso. Segnala Il “ Campo” di Auschwitz, solo un piccolo pannello marrone a Oswiciem (nome polacco di Auschwitz). Diversi chilometri di reticolato e torrette mi dividono ancora prima di giungere di fronte all’entrata. Pullman, gite organizzate e turisti di ogni nazionalità in coda all’ ingresso. Passo oltre, decido di comprare qualche cartolina e cartina della zona e proseguire per il poco distante campo di Birkenau.

Binari banali, normali, come quelli di mezzo mondo, ma con un qualcosa di tetro quasi famigliare, già visto. Una striscia di asfalto nella campagna polacca un passaggio a livello e riecco i binari, corrono paralleli alla strada e sullo sfondo appare l’ entrata di Birkenau. Immagine tristemente conosciuta che mette i brividi anche se ha smesso di piovere e non fa freddo. Penso a chi ha percorso questi ultimi metri di via ferrata con la paura negli occhi ed il destino segnato.

Era solo ieri. In hotel faccio notare che la mia bici è molto sporca e bagnata, e i pavimenti dell’albergo potrebbero risentirne; “ no problem, no problem” e la mia compagna di viaggio dorme in un ufficio attiguo alla hall dell’albergo. La mia camera è sufficientemente spaziosa per stendere tutti gli abiti, cartine e scarpe che hanno bisogno di asciugare.

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