Legnago in festa per Salieri, andarci in bicicletta?

una città in festaper il suo grande musicista

“Venga nel nostro coro
chi viver vuol contento”

in collaborazione con teatro e fondazione salieri

Ed io andai. In bici. Le ruote sollevarono alcuni piccioni che, di buon mattino, contendevano ai gabbiani i pochi resti abbandonati presso una panchina. L’estate di San Martino, finita da poco, aveva lasciato posto ad una giornata non limpida, ma non fredda. Volavo verso il paese natale mio e del maestro.

Entravo nella nebbia rada della bassa e le immagini, sfumate di grigio, rallegravano i miei coloriti pensieri. I tralicci metallici lasciarono il posto ai , canne d’organo di sinfonie naturali. La musica di “variazioni sulla follia” diventava colonna sonora del mio procedere. Anche un cacciatore con i propri cani, che passeggiava tra i campi spogli, mi sembrava più in sintonia con l’ambiente. Una garzetta immobile osservava il terreno ed un airone, poco più lontano, controllava il territorio torcendo e rigirando il lungo collo.

Legnago, sotto un cielo invisibile, sembrava dormire ancora. La campana invitò i fedeli al primo incontro della giornata, la Missa Stylo presso la chiesa dell’Assunta. A cappella la eseguirono, durante la celebrazione, l’ Ensemble PolipulchraVox.

“La festa atto di onestà nei riguardi di Salieri; impedire il seppellimento delle memorie; fede e radici cristiane di Salieri battezzato a Legnago; evvviva l’arte, e la musica in particolare, espressione delle capacità di uomini che permettono a noi di non rassegnarsi della loro morte; se taceranno gli uomini parleranno le pietre”. Questi gli spunti della riflessione di Mons. Mantovani.

A poche pedalate dalla chiesa, il suono di Marco Castelli penetrava dentro l’animo improvvisamente, assorbendolo totalmente con le note della “Follia”. La sua tromba accompagnava lo spettacolo di danza Verticale Exuvia. Dalle finestre del Museo Fioroni, in verticale come su di una parete, evoluzioni spaziali senza tempo per una nuova visione del mondo e dello spazio. Il corpo diventava architettura e danzare sulle pareti era possibile attraverso la trasformazione del corpo umano in figure leggere o drammatiche pronte a spiccare voli o a contorcersi sopra un pubblico attonito a naso in su.

“Per sentirsi veramente liberi è necessario avere radici, le nostre sono nella storia di Legnago e facciamo la nostra storia maestra di vita” disse Andrea Ferrarese direttore della Fondazione Museo Fioroni.
Nel pomeriggio, come il giovane impaziente giornalista del film, mi feci attrarre dalla visione e dalle note di “Perché Salieri, Signora Bartoli?” (ZDF TV, Germania).

Capii perché amavo già Salieri e quanti altri l’avrebbero amato e perché leggeri brividi mi percorrano l’intimo nel sentire le sue note. “Un grande musicista di cui molto resta ancora da trascrivere, interpretare e sentire”.
Il fanale acceso della bici mi condusse più tardi alla Pieve di San Salvaro.

La gente attendeva, con in mano una candela, l’entrata in chiesa. La poca luce rimandava ad un’ epoca remota e dai pertugi filtrava fumo odoroso.

La preghiera iniziò. La regia aveva trasformato un possibile palcoscenico in un reale presbiterio settecentesco. Celebravano la cerimonia l’orchestra e solisti in costume. Salieri in persona raccontava la sua musica, “l’ arte che professa, dono di Dio, che prega per chi l’ascolta e si prega ascoltandola”.

E solo quando Salieri, dopo aver salutato, scomparve tra la luce, la muta folla orante, riservò il tributo di un doveroso lungo applauso a Salieri, al regista Antonio Giarola, a tutta Legnago. Il Maestro uscì di scena, scendendo le scale verso la luce della verità.

Per strada il buio prese il sopravvento sulle luci fioche delle candele e l’ultimo treno in partenza attendeva il mio rientro. Con rammarico pensai ai “Tre Salieri” in programmazione di lì a breve che non avrei potuto sentire.
Sul treno, il ritratto di Salieri ricomparve sulla copertina del programma in mano ad una ragazza. Le emozioni vissute lungo l’intera giornata musicale favorirono la conversazione con Valeria.
“Musica! Celeste imitazion della natura: quante grazie ti rendo per le ore felici che pel tuo mezzo passai!”
Terminò, così, a Verona la mia ciclosinfonia; continua tuttora l’eco della “sua” e “mia” colonna sonora.

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