Itinerario in bicicletta in Mongolia, steppa amica, amici della steppa (seconda parte)

La discesa a Jargalant è probabilmente uno dei tratti più belli di tutto il viaggio: percorriamo una valle verde, larga e sconfinata, con la luce che filtra tra le nuvole in un atmosfera limpida e d intensamente drammatica. I nomadi che incrociamo e che si muovono su moto russe di bassa cilindrata sono cordiali e ci salutano con la mano spesso per primi quando non si fermano per cercare di palare.

 

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26.07.2018

Prima di entrare in paese incontriamo i primi cicloturisti: si tratta di una coppia di ragazze belghe che fa il nostro stesse percorso ma in senso contrario. Scambiamo con loro qualche informazione sul percorso.Jargalant è forse più squallido di Shine-Ider: facciamo solo spesa in un alimentari e mangiamo i soliti noodles prima di ripartire di nuovo in salita. La salita questa volta è morbida in una ampia valle in cui scorre un torrente. La presenza di un torrente è sempre rassicurante perché uno dei problemi da risolvere è quello dell’acqua potabile (non sempre è possibile trasportare tutta l’acqua di cui si stima di avere bisogno e poter bollire quella dei corsi d’acqua è una sicurezza non trascurabile).

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Questa sera la visita di turno ci viene da un ragazzino di circa 12 anni che arriva a cavallo, attraversando il torrente (dove poco prima ci siamo fatti la “doccia”), vestito con una lunga veste verde con fascia telata arancione in vita e stivali di pelle, abbigliamento che ci ricorda i costumi dello sceneggiato Marco Polo di tanti anni fa  (i nomadi solo raramente non indossano gli abiti tipici): ci chiede se può prendere lui la nostra Go-Pro (di cui crediamo non conosca nemmeno il funzionamento) ma quando gli spieghiamo quanto costa (in valuta locale) capisce che sarebbe un regalo troppo costoso. In cambio gli regalo un cappellino da deserto che portavo con me anche se era effettivamente un po’ troppo piccolo: lo infila incredulo e soddisfatto nella tasca al petto insieme ai dolcetti che condividiamo con lui e torna verso casa dopo averci salutato.

 27.07.2018

Oggi pare che ci attenda una giornata impegnativa: dalla descrizione del percorso di cui disponiamo dovrebbero esserci oltre 1000 metri di dislivello. La mattinata comunque inizia con una salita tranquilla e quando incontriamo un gruppo di ciclisti svizzeri che parlano italiano ci fermiamo un po’ a discutere di cibo mongolo e del percorso. Molto più rumorosi sono gli allegri gruppetti di bambini che fanno festa al nostro passaggio dalle gher vicine alla traccia che stiamo seguendo e che sempre vorrebbero che ci fermassimo. In realtà c’è una bella sorpresa per noi. Il passo è a 2300 metri e non a 2800 come ci aspettavamo: anche se la pendenza della salita alla fine diventa impegnativa, è molto più breve del previsto.

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Mentre su un assolato prato al di sotto del passo degustiamo un risottino (ci siamo portati un po’ di riso da casa), si ferma una  coppia di americani in bici provenienti dall’Alaska. Anche con loro scambiamo un po’ di informazioni. Il pomeriggio è in discesa verso White Lake, meraviglioso lago isolato nella steppa. Campeggiamo e facciamo il bagno sulla sponda nord e sull’altra vediamo le macchine che corrono troppo veloci per essere su sterrato: domani forse rivedremo l’asfalto, diversi chilometri prima del previsto! Nonostante il vento che infastidisce il nostro fornello a benzina, riusciamo anche a prepararci la cena. E a nanna presto (come sempre in Mongolia).

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28.08.2018

Il risveglio è sotto un cielo nuvoloso e ventoso. Ma presto ritorna il sole. E’ un giorno di festa e i mongoli sono tutti in riva al lago. Presso un chiosco facciamo uno spuntino dolce e stringiamo amicizia con Gengis Khan un cane mongolo che (ovviamente) soprannominiamo così e che ci segue per tutto il resto della mattina per ringraziarci di averlo liberato da un cavo elettrico che gli era stato legato intorno al collo.Arriviamo a Tariat e troviamo l’asfalto! Come avevamo sperato ieri sera ben prima del previsto! Per festeggiare ci fermiamo in un gazar e ci rifocilliamo di buuz e khuusuur (ravioli di montone e frittelle di montone) con una buona birra (calda… i frigoriferi sono un lusso riservato alla carne, se funzionano).Ripartiamo addirittura con vento a favore! Rifornimento di benzina (per il fornello) e arriviamo senza troppo sforzo al gher camp di Chulut Gur (spettacolari gole che sprofondano nel piano infinito della steppa e sul fondo delle quali corre un fiume. Brutta notizia: non c’è la doccia… dobbiamo rinviare ancora l’appuntamento con l’igiene…

29.08.2018

La tappa è molto ondulata e si susseguono tratti di salita (con diversi passi) e di discesa in un ambiente un po’ monotono (il prezzo dell’asfalto). Pranziamo a base di noodles cinesi piccanti in un prato sotto il sole cocente. Il pomeriggio è addirittura controvento e la salita termina solo al crepuscolo quando ci godiamo una meritata discesa e piantiamo la tenda in una radura dove siamo circondati da un branco di cavalli liberi.

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30.08.2018

Tappa breve perché in poche decine di chilometri, seppur dopo una bella salitona sterrata e trafficata, arriviamo a Tzetzerleg una cittadina vera e propria. Il percorso ci viene allietato da una macchina di ragazzi americani dal finestrino della quale escono due belle birre: siccome è mattina vediamo di conservarle per la sera! Arriviamo alla mitica Fairfield Guesthouse, una delle guest house più famose della Mongolia centrale giusti giusti per goderci una meritata doccia e andare a pranzare in un pizza & chicken dove le pietanze sono così pesanti da rimanerci sullo stomaco fino a notte. Tzetzerleg è una cittadina di discrete dimensioni in cui i complessi monastici, trasformati in musei dalla necessità di salvarli dall’eliminazione sovietica, rappresentano l’elemento di maggior rilievo. Salendo sulla collina per ammirare la maestosa statua di Buddha conservata in un tempio, apprezziamo per la prima volta la spiritualità di questo paese in cui sebbene non sembrano esservi cerimonie popolari organizzate ogni individuo sembra abituato a regole religiose molto chiare. 

31.08.2018

Risveglio con giornata piovosa e le previsioni non promettono nulla di buono. Aspettiamo un po’ a partire ma capiamo subito che non ci sono speranze: ci si dovrà bagnare. Così ci mettiamo di santa ragione sotto la pioggia. Usciamo da Tzetzerleg e raggiunto un piccolo centro abitato capiamo che c’è festa nell’aria. Poco dopo infatti nella steppa vediamo correre in direzione opposta alla nostra direzione di marcia una mandria di cavalli cavalcati da dei ragazzini: è il Naadam, la famosa festa nazionale mongola! Pensavamo che si tenesse solo ad Ulanbaatar e in altro periodo ma evidentemente ci deve essere una “edizione ridotta” anche qui. Assistiamo alla spettacolo e riprendiamo a pedalare. Fare uno spuntino sotto la pioggia è difficile e allora ci fermiamo in un sottopassaggio della strada (per la verità invaso da escrementi di animali da pascolo), l’unico luogo asciutto nell’arco di decine e decine di chilometri. Il pomeriggio il tempo peggiora ulteriormente e pedaliamo persino dentro nuvole basse.

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Verso sera arriviamo a Khotont dove c’è ancora Naadam! Questi mongoli festaioli! E… brutta sorpresa… nel racconto di viaggio che portiamo con noi c’era scritto che a Khotont ci sarebbe stato un alloggio e invece non c’è; chiediamo allora alle persone del posto dove è possibile dormire e… meraviglia della ospitalità mongola… tutti rispondono “a casa mia”! Cosicché seguiamo nel fango una gentile signora che ci guida con un’auto fino ad una casa che è poco più che una grande baracca di legno con bagni all’esterno (difficili da raggiungere quando piove). La doccia ce la scordiamo anche questa sera (e ci sarebbe proprio voluta). A noi è riservata una stanza privata! Lusso! Con il fornellino a benzina non si può cucinare al chiuso e all’aperto piove a dirotto… fortuna che abbiamo viveri che non necessitano di essere scaldati, ma la cena fredda non era esattamente nei nostri sogni più nascosti.

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01.08.2018

Piove ancora. Ma meno. I festeggiamenti del Naadam (approfondisci) vanno avanti ma il ritmo è blando e decidiamo di partire. In poche decine di chilometri siamo a Kharkorin, antica capitale dell’impero mongolo, dove Matteo e Niccolò Polo passarono durante il loro primo viaggio. Dell’antico splendore rimane ben poco per varie devastazioni succedutesi nel tempo e la cittadina è piccola e squallida. Abbiamo comunque in programma di fermarci per visitare il complesso monastico, uno dei più famosi e belli della Mongolia. Appena arrivati veniamo letteralmente accalappiati dalla proprietaria della Family Guesthouse, l’unica guesthouse della cittadina che vanta la recensione sulla Lonely Planet: non era esattamente la sistemazione a cui stavamo pensando ma lasciamo fare alla fortuna. D’altro canto siamo sul fradicio andante. Dedichiamo il pomeriggio ad asciugarci e, viste le pessime previsioni del tempo per domani, decidiamo di fermarci un giorno qui e visitare domani il monastero.

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02.08.2018

Il complesso monastico di Kharkorin è grande ma non imponente: riesce tuttavia a dare un’idea della sontuosità del passato. Edifici di culto di notevoli dimensioni con decori finemente lavorati sia all’esterno che all’interno e grandi statue di diversi Buddha che sono oggetto di venerazione di molti visitatori (c’è una sorta di turismo religioso mongolo che si affianca al turismo straniero). I monaci che si aggirano affaccendati per i diversi edifici con le loro vesti svolazzanti danno a questo luogo una atmosfera di intenso raccoglimento religioso. Difronte al monastero si sviluppano una serie di chioschetti dove si possono acquistare cianfrusaglie varie, generi alimentari o souvenir oppure mangiare pietanze tipiche a base del solito montone.Dopo la visita, ancora pensierosi difronte alla intensità spirituale del luogo, ci concediamo di attraversare le immani pozzanghere che separano l’ingresso dai chioschi e ci sfamiamo a suon di ravioli (buuz). Il pomeriggio passa pigramente tra riposo e preparativi per la ripartenza di domani.       

03.08.2018

Ooooh… finalmente è tornato il sole! Era ora! Partiamo con un ritrovato buonumore e decidiamo di prendere uno sterrato che allunga il percorso ma che promette paesaggi più remoti (che ci mancano un po’ da quando siamo sull’asfalto). La scelta è azzeccata: colline delicate e lande desolate a perdita d’occhio, con numerose gher in lontananza, nessun rumore e anche il pranzo sull’erba sotto il sole è meno “caldo” del solito. Ritroviamo scoiattoli e cicale di prateria! Torniamo sull’asfalto al crepuscolo e accampiamo a bordo pista.

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04.08.2018

Il cielo un po’ plumbeo della partenza viene sostituito da un timido sole che diventa deciso solo verso ora di pranzo quando arriviamo alle Mongol Els! Sono grandi dune di sabbia nel mezzo della steppa dove sono pronti per i turisti guide e cammelli per passeggiata “nel deserto”. Non resistiamo alla tentazione e saliamo anche noi a cavallo, anzi a cammello! Il giro nel deserto in mezzo alla steppa è fantastico: è la prima volta che saliamo su una bestia così alta (e buona) e non ce lo dimenticheremo facilmente. Riprendiamo il nostro cammello a pedali e ricomincia la salita fino al Kogno Kahn gher camp. Dove arriviamo piuttosto stanchi per il vento contrario. Ci accoglie una signora che – unica volta durante il viaggio – ci spara una cifra folle per il pernottamento. Ringraziamo e ce ne andiamo ma si accumulano nuvoloni che non promettono bene. Maledetta strozzina: torniamo indietro e accettiamo il ricatto! Se non altro c’è la doccia calda (ma anche gli scarafaggi nel letto!)…

05.08.2018

Si riparte per la mattina più piacevole di tutto il viaggio: sole deciso ma non caldo, vento teso a favore e sembra di avere il motore! Temperatura ideale e troviamo anche un paesino dove facciamo scorte di viveri… cosa vuoi di più dalla vita? Ok, un Lucano… ma è troppo lontano…Dopo la pausa pranzo c’è un fastidio ad attenderci: siamo scesi sotto i 1400 metri e immensi sciami di moscerini molto molesti sono pronti ad aggredirci. Tendono a prendersela in particolare con occhi, orecchie, naso e bocca e … parti intime allorquando si verifichi il caso di necessità di espletare bisogni fisiologici… mordono come forsennati e non lasciano tregua. Non ce lo aspettavamo e non abbiamo con noi le mosquitonets che ci avrebbero “salvato la vita”! Non c’è scelta… o pedali o li lasci fare… e aspetti le tenebre… al tramonto se ne vanno… ma all’alba il tormento riprende… ci lasceranno solo poco prima di Ulanbaatar. Nonostante tutto riusciamo a goderci le limpide e calde luci del tramonto e la stellata che segue anche questa sera.

06.08.2018

Inseguiti dai moscerini riprendiamo a pedalare in direzione di Lun, che raggiungiamo in tarda mattinata; il montone ci aspetta in uno dei diversi gazar che ci sono. Anche questa cittadina è piuttosto squallida ed è bagnata dal Tuul Gol il fiume che passa per Ulanbaatar e che è terribilmente inquinato da metalli (infatti è colorato di un rosso innaturale). Facciamo scorte e ripartiamo. Qui la strada comincia ad essere piuttosto trafficata. Accampiamo su una collina da cui vediamo dall’alto la strada. Al tramonto assistiamo ad una scena inusuale. I pastori mongoli radunano proprio sotto di noi, all’interno di un recinto di pietre, diversi branchi di cavalli liberi e inizia la trattativa per la compravendita con alcuni uomini venuti con un camioncino. Al termine 3 cavalli verranno caricati sul mezzo e partiranno. Aforismidiviaggio Ulan Baatar Naadam corsa cavalli risultato

07.08.2018

Alla ripartenza ci sentiamo stranamente fiacchi. Arrancando un po’ arriviamo al bivio per il parco nazionale di Kustain, dove a metà giornata troviamo alloggio in una gher – bunker! Sembra una gher blindata perché è ricoperta di piastrelle di materiale plastico! Al suo interno la temperatura sfiora i 50 gradi e al suo esterno persistono le nubi di moscerini: una specie di tortura cinese, anzi mongola! Dopo il tentativo fallito di un riposino in forno, decidiamo di partire con le bici scariche per il parco nazionale. Quando arriviamo all’ingresso ci rendiamo conto che da lì si vede poco e che in bici i siti più significativi si vedrebbero solo avendo a disposizione almeno 1 giorno (ma noi non ce lo abbiamo). Allora assoldiamo un ranger e un autista e ci facciamo fare un servizio taxi per andare a vedere cervi e soprattutto cavalli selvaggi. Ed effettivamente loro sanno dove sono: ci portano sul versante di una collina da dove con un binocolo e con un telescopio (!) si vedono perfettamente sul versante opposto questi animali spettacolari, simbolo di libertà e di integrità dell’ambiente. Ne valeva la pena! Facciamo appena in tempo a rientrare nel gher camp e nel nostro bunker prima che si scateni la tempesta: ma… la doccia è fredda (almeno nei bagni degli uomini) e si va a letto senza cena… fuori piove troppo, non c’è un riparo e dentro non si può cucinare… va beh… amen!

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08.08.2018

Riusciamo a perderci di vista nelle piste sabbiose che separano il gher-camp dall’asfalto ma ci ritroviamo all’incrocio. E’ la tappa finale e riserva le ultime maestose vedute sulle steppe sterminate e gli accampamenti nomadi in lontananza. A circa 30 km dal centro inizia la periferia della capitale. Ci fermiamo a cucinare sotto uno stupa (capitello buddhista). Mentre ci accingiamo a inghiottire i soliti noodles, si avvicina una famiglia di locali che prendono di mira una lapide che sembrava riportare (in mongolo) una dedica che spiega la presenza dello stupa in quel luogo: rompono la lapide in Mongolia orthographic projection.svgdiversi grossi pezzi, ogni componente della famiglia ne prende uno e con un piccolo martello si dedica con pazienza a sminuzzarlo in pezzi sempre più piccoli e poi in polvere. Una volta ottenuta la polvere la disperdono nel vento. Tutto questo lavoro, ci sembra a vederlo, molto poetico: come se stessero – tutti insieme - riconsegnando al tutto l’evento commemorato nella lapide per cui lo stupa deve essere stato costruito. Proviamo a parlare con loro in inglese per capire se la nostra sensazione possa avere senso ma la barriera linguistica ha la meglio. Che peccato. E’ ora di arrivare. Ci addentriamo nelle periferie rumorose e inquinate della capitale di cui a poco a poco riconosciamo lo “skyline” visto all’arrivo. Più ci si avvicina al centro e più la confusione aumenta. Fortunatamente molti marciapiedi sono sufficientemente larghi per fare da ciclabile. Ed ecco, riconosciamo l’incrocio e l’angolo. Li dietro c’è la piazza centrale, con la maestosa statua di Gengis Khan, Chingis Khan come dicono loro. Quando sbuchiamo nella piazza, una strana sensazione ci assale al cospetto del grande imperatore. Ci sembra di essere partiti poco fa e invece molti giorni di magia sono già trascorsi in Mongolia. (testi e foto di Andreas Madsen)

 

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Mongolia, un viaggio nell'infinito

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Fernando Da Re

Un cuore, due gambe e una bicicletta. In testa sempre la fresca vivacità di raccontare. Il risultato lo ritroviamo in questo sito da lui creato e portato avanti con l’entusiasmo e l’impeto dell’atleta che cerca risultati.


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