Armenia, percorso a tappe in bici - terza parte

Da Yeghegnadzor a Ararat km. 120

Dimenticata la precedente giornata in taxi, ricca di vibranti chilometri con un conducente che si credeva Alonso della Ferrari, mi accorsi quanto mi mancava la bicicletta quando la rividi in garage. Le borse ricomposero il portapacchi come la schiena di un cavallo e mi ritrovai per strada con la consapevolezza di quanto mi fosse mancata.

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Sapevamo, io ed Enzo, che ci aspettavano salite di qualità, ma non conoscevamo molti particolari. Fu subito una discesa però a donarci la gioia di essere di nuovo in bici. Percorremmo una gola non ancora riscaldata dal sole, superammo l’incrocio a sinistra con una valle più stretta che portava al monastero di Novarank, e pedalammo in compagnia del fiume che imbrigliava alberi e cespugli tra le sue anse. “L’Armenia ha un paesaggio vibrante, con colori in trasformazione ed era facile per me perdermi nella novità di quei luoghi”.

Le progressive ascese verso la Regione Ararat (prende il nome dal Monte sacro anche se questo è in territorio Turco) affaticano le gambe, rendevano pesante il respiro, caldo il corpo. Ma la mente rimaneva fresca di visioni e incontri. Attraversammo Areni, terra di vigneti coltivati con caparbietà della forza. Qualche venditore e cantina mostrava e vendeva i suoi prodotti lungo la strada. La valle è ampia e la strada rasenta sulla sinistra la erosa montagna con altezze importanti e sulla destra lascia intravedere la valle come una scacchiera dove prevale il verde e l’ocra. Nella parte finale della salita più dura, prendemmo fiato.

E fu proprio allora che si fermò un autobus che qui chiamano Marshrukta e che le porte già aperte e il conducente ci faceva cenno di salire. A bordo non c’era nessuno. L’invito non poteva arrivare in momento migliore. Salimmo e raggiungemmo quello che pensavamo fosse il punto più alto del percorso. L’incontro segnò la nostra giornata perché provammo in quei minuti trascorsi a bordo e il successivo dialogo tutta la generosità del popolo armeno. La generosità e l’ospitalità sono i frutti spontanei e non coltivati in questa terra di mille fatiche.

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Raggiungemmo il passo e rinfrescammo membra e mente alle acque fresche di sorgente. Ma a saziare la sete fu una birra offertaci da alcuni ragazzi fermi sul posto. Altro esempio di non rara amicizia in itinere. Si presentava una discesa che sarebbe durata anche a lungo solo se non avessimo deciso di svoltare in direzione Vedi. Un altro altopiano ci attendeva.

Pochi, si fa per dire, metri di dislivello ed ecco l’altipiano con le sue larghe vedute. Alcuni solitari ragazzi allevavano cavalli e li cavalcavano a pelo. Fu facile, dopo un sorriso, cucire un dialogo e fare strada assieme. Due figure, due mezzi di traporto, due rumori (i soli) frizzavano con il vento sull’asfalto. “picchiettavano gli zoccoli del destriero sull’asfalto, ronzavano le nostre ruote e su questi rumori si sovrapposero quelli elettronici delle nostre fotocamere. Erano clic pure i battiti del cuore”.

Salutammo i ragazzi, la strada prese a scendere e fummo immersi in una moltitudine di colori e profumi. Poi la cittadina Vedi: villaggio desiderato per la sosta. Quesa cittadina non possedeva nessun alloggio contrariamente a quanto la guida indicasse. Procedemmo fino al villaggio di nome Ararat, 15 chilometri di frutteti e di pianura. Il suo nome creava attese e ci colpiva emotivamente, anche se non aveva niente a che fare con il Monte. Solo per quella sera però…

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Da Ararat a Yerevan km. 60

Solo per quella sera…perché al mattino capimmo il motivo per cui poteva vantare quel nome prezioso. Fuori dal suo centro storico, superate le case e la ferrovia, quando gli ostacoli visivi erano annullati e al loro posto crescevano bassi filari di viti o piccoli alberi da frutto, ecco apparire nelle prime ore del giorno, tiepidi e leggermente annebbiati, i due monti simbolo dell’Armenia: il piccolo e il grande Aratat.

Un’ emozione che deve essere solo vissuta. Continuammo a seguire il percorso lungo un fiume o canale fino al monastero di Khor Virap. Una ventina di chilometri non facili da dimenticare. Le vette spuntavano come coni sullo sfondo di un cielo, non terso, ma azzurro. La neve copriva la vetta più elevata.

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L’area che si percorre è una pianura situata a circa mille metri di altitudine. La ricchezza di questo altopiano sono i campi coltivati a frutteto, vigneto e verdure. Una agricoltura dove la manualità supera la meccanizzazione. Entriamo al monastero lungo uno sterrato che ci permette ancor di più di sentire il silenzio che si espande attorno a quel luogo sacro. Ci inerpichiamo su di un colle di fronte alla costruzione per cercare di fotografare il complesso nella sua interezza e spettacolarità.

Non siamo al tramonto, non siamo all’alba, non c’è arcobaleno, non ci sono stormi di uccelli eppure le foto di questo luogo assumono comunque una veste di grandiosità nonostante l’infelice luce del mezzogiorno. Di fronte, a pochi chilometri in linea d’aria, il grande Ararat sembra abbracciare ancora con riconoscenza il luogo dove San Gregorio l’Illuminatore, da sepolto vivo, divenne, dopo aver miracolato il suo re che lo teneva imprigionato, la guida spirituale della Armenia cristiana. Una larga strada porta fino a Yerevan.

Una via di scorrimento per alimentare il grande flusso di turismo che parte prevalentemente da Yerevan. Per il cicloturista rimane l’altra, quasi parallela, più consona da percorrere in bicicletta. Chilometri senza emozioni se non quella che accompagna la fine di un viaggio, la gioia di essere riusciti a conquistare un altro Paese. Una conquista non da alzare come un trofeo, ma una occasione per vedere terre nuove con occhi nuovi. Capire che alla fine questo Paese merita rispetto e maggior approfondimento.

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Yerevan e dintorni

Erevan o Yerevan, la capitale dell’Armenia, si trova a 1000 metri d’altezza, non è molto attraente pur avendo una pianta circolare assai interessante e sulla piazza centrale edifici costruiti con il tufo di diversi colori, come le belle chiese che ornano il Paese. Sarà la gentilezza e l’affabilità della gente a far apprezzare la città nonostante la sua architettura tra il sovietico e il tentativo di preservare, in chiave moderna, le tipicità armene. La visita al monumento all’olocausto del popolo armeno, moderno, sovietico, suscita un’emozione inevitabile che prende la gola quando si entra tra gli spicchi del cono che alternano luce e ombra, al cui centro la fiamma eterna arde, perchè nulla sia dimenticato.

La gente entra nel cerchio e depone attorno al fuoco un fiore, mentre la musica dei più famosi musicisti armeni si libra nell’aria senza interruzione, in omaggio a quel primo sacrificio di uno sterminio di massa che, purtroppo, fu il primo ma non l’unico nella storia del mondo. Di grande interesse si rivela la visita alla biblioteca “Matenaradam” dove vengono custoditi gelosamente gli antichi libri disseppelliti. Antiche copie miniate dei libri sacri che diventavano patrimonio della famiglia e quando, per il troppo uso diventavano illeggibili, venivano seppelliti nel cimitero con vero funerale.E se vi meraviglierà l’assenza di dipinti all’interno delle chiese, questo è dovuto al fatto che non ce n'era bisogno; tutti gli episodi biblici e le storie sacre il popolo le conosceva dalla lettura dei loro manoscritti. (testo di G. Pittari)

Echmiadzin è la santa sede della Chiesa armena, dove vive il Katolikos, il papa degli ortodossi armeni. La cattedrale è molto antica, ma la modernità ne ha cambiato l’aspetto. La domenica mattina si può assistere alla suggestiva processione del Katolikos che terrà la messa solenne; non esiste messa che non sia cantata e i canti si alzano solenni e armoniosi verso un cielo purificato dal sacrificio del popolo perseguitato dai turchi che organizzarono per loro un viaggio di sterminioverso il deserto della Siria, provocando la morte di più di un milione di persone: fu il primo genocidio della storia. 

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Quattro giorni è un periodo di tempo adeguato per visitare Yerevan e dintorni. I mezzi pubblici raggiungono tutte le zone di interesse, ma sono più lenti dei taxi. Ritenemmo che il notevole flusso di traffico rendesse pericolose le pur ampie strade se percorse in bicicletta. Pertanto lasciammo le biciclette a riposo entro l'ostello e circolammo in taxi, economici e rapidi.

Completammo la visita del meglio che la città aveva da offrire, utilizzando la bicicletta arrivando al Monumento per il 50° anniversario del Soviet dell'Armenia, alla Cascata, al Matenadaran, alla statua di Madre Armenia, alla Cattedrale, alla collina Tsitsernkaaberd o Museo del Genocidio. Completammo il tutto con visite a piazze, palazzi, giardini, mercatini dell'usato e quanto capitò a giro di pedale.

Da Yerevan a Tblisi in treno

Racconto questo tratto di percorso, pur se effettuato in treno, perché ho avuto la sensazione di attraversarlo come se fossi a cavallo della bicicletta. Un percorso che presenta visioni dilatate come offre un tragitto fatto sulla due ruote. Però riassumere il tutto diventerebbe inefficace e vi invito a leggerne il testo originale e completo così come viene riportato sul volume “Con l'Armenia nel cuore”.

Queste alcune citazioni:

“Pensai un istante alla comica rappresentazione che dovemmo eseguire per farsi dire dove si trovava la stazione a Yerevan. Eravamo già nei suoi pressi, ma nessuna parola da noi pronunciata fu compresa dagli interlocutori”.

“In quale lingua dobbiamo dire treno e stazione?”

“Ciuff, ciuff, Fiiiiii, Fiiiii” e l'imitazione delle ruote del treno che corrono sui binari ebbero subito il successo cercato. Con quella fumosa scenetta mi sto assopendo, ma il paesaggio esterno attrae la mia attenzione”.

“Alzo lo sguardo e osservo che tutte le plafoniere del soffitto e le prese d'aria sono sigillate con nastro adesivo. La scritta sopra quel nastro potrebbe significare “dogana” e mi vengono in mente le scene di alcuni film in cui il protagonista nascondeva armi o droga in quelle parti che si potevano rimuovere con viti”.

“L'impressione è quella di trovarmi sul set di un vecchio film sul realismo italiano. Si riempie lo scompartimento. All'esterno le venditrici, di bibite, donne anziane, sembrano non fare affari. Le osservo dal finestrino impolverato, girano per le panchine, sotto i piloni gialli che sorreggono la tettoia della stazione, e guardano all'interno del treno con occhietti spenti e viso sfiduciato. Offrono in vendita anche semi di girasole, sfusi”.

“Non bisognerebbe mai consegnare i propri passaporti senza vedere dove vanno a finire”, mi veniva in mente la caparbietà di Bernard Ollivier che non aveva permesso a nessun poliziotto, mai, di trattenere il suo passaporto senza la sua presenza. Ma forse l'Iran, il Kazakistan e non erano la Georgia. Nel frattempo, un poliziotto tosto, obbliga ad aprire ogni bagaglio, disfa valigie, taglia spaghi, fruga all'interno, estrae vestiti e apre scatole di scarpe. “Vuoi vedere che adesso toglie le viti anche delle plafoniere!”

“Avevo letto, Enzo, che un viaggio in treno non crea intimità con il paese che si percorre. Non è vero! Se il viaggio viene favorito dalla lentezza e dal bel paesaggio attraversato, ottiene identico risultato”.

Estratto dal volume “Con l'Armenia nel cuore” di Fernando Da Re)

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