Cicloturismo nelle Marche. Itinerario della bellezza, del silenzio, della fede
"Gli uomini viaggiano per stupirsi degli oceani e dei monti, dei fiumi e delle stelle. E passano accanto a se stessi senza meravigliarsi." (S. Agostino)
SECONDA PARTE leggi PRIMA PARTE In bicicletta nelle Marche, monti, colline, e mare in un unico colpo d'occhio.
Quarta tappa: Fabriano, Grotte Frasassi, Gola della Rossa, Angeli di Rosora, Cingoli, km. 55
E’ domenica , la voce di qualche campana avvolge il silenzio della città. Poca gente per le strade, meno ancora quella che incontro all’interno della Cattedrale dove vado per assistere alla S. Messa. La mia esperienza di cattolico mi ha insegnato che la poca gente alle cerimonie a volte è anche per difetti di “costruzione e relazione” della liturgia. Il rito che stavo vivendo rispettava i difetti di “costruzione e relazione” con i fedeli presenti. Scrivo soltanto questo commento senza approfondire: per ricordarmi l’avvenimento. Ottemperato al precetto festivo, prendo la via per raggiungere le Grotte di Frasassi. Lungo la periferia, la strada che porta alla valle verso le Grotte, attraversa le strutture create da e per Merloni. Il Merloni. Risento ora quanto mi disse un anziano nel paese di Cancelli: ”ai miei tempi andavo a scuola a Fabriano sempre in bicicletta, pioggia neve non importava, otto chilometri andata e otto chilometri ritorno, era molto più semplice vivere nonostante i disagi, dopo è arrivato il Merloni e tutto è cambiato, le campagne sono state abbandonate, sono arrivati i soldi, i paesini si sono spopolati, io sono qui solo come vede seduto davanti alla porta e mi ha fatto piacere che qualcuno si sia fermato per salutarmi e fare due chiacchiere”. Mi aveva commosso il vecchio, mi aveva trasmesso un ricordo da me raccolto in modo amichevole, quasi uno sfogo per lui, ma un vivo regalo per un cicloturista di passaggio che ora, qui, torna con lui a riscrivere un pezzetto della sua storia anni ‘70. “Nel 1970, l'azienda marchigiana contava 2.000 dipendenti in 8 stabilimenti, realizzava un fatturato di 30 miliardi di lire, ed era leader in particolare nella produzione di bombole per gas liquefatto, che a quell'anno copriva il 60% del mercato nazionale. Gli scaldabagni costituivano il 33% della sua produzione, seguiti dalle cucine (10%), frigoriferi (5%) e lavastoviglie (3%)”
Brevi dislivelli portano in dieci chilometri a Pianello dove le cime della valle che antecedentemente facevano da scenario, ora sono realmente sopra la testa quasi un peso. “Chi vuole viaggiare felicemente deve viaggiare leggero” (Antoine de Saint-Exupery ) e mentre vetture e autobus procedono lentamente per percorrere gli ultimi tre chilometri necessari per entrare alle Grotte, io mi sento leggero, con l’aria che respiro, con il flauto dolce che essa riproduce attraversando il casco e gli occhiali. Ascolto quel soffio e mi pongo in sintonia con il motivo, a guisa di un coro che celebri la mia felicità. Avendo già visitate le grotte in precedenza, parcheggio il mezzo e salgo a piedi verso la cappella santuario Madonna di Frasassi o Tempio Valadier e l'Eremo Santa Maria Infra Saxa. Essi sorgono incastonati tra la solida montagna e il rigoglioso bosco del Monte. Il percorso in salita agevole pavimentato, a volte con scalini, senza tregua, misura circa 800 metri. Si superano trecento metri di dislivello e lungo il tragitto si ha modo di osservare le 14 stazioni della Via Crucis. Non si nota nulla fino all’ultima curva e quando resti sorpreso di quanto si presenta, improvvisamente davanti e attorno, sei arrivato e comprendi.
Entro la roccia scavata si erge una cappella di grande fascino, le giri intorno e la struttura ottagonale mostra la sua particolare linea neoclassica, dove le linee sono semplici ed equilibrate. Il travertino la rende candida, la cupola conclude la struttura a filo della roccia mostrando un esemplare unico di composizione mistico-religiosa. Internamente, sopra l’altare in alabastro colpisce una copia della Vergine col Bambino. (L’originale attribuito al Canova, in marmo bianco di Carrara e finemente scolpito, viene custodito al Museo di Genga). Osservando la valle ti senti minuscolo, lo sguardo spazia dalle cime alla valle e le vetture sottostanti senza vigore, sembrano trastulli, inefficaci a creare timore sulla via maestra. Tutto il cielo proietta un fresco azzurro e allargando le mani respiri in un attimo l’abbraccio della natura.
Mi metto in sella con destinazione Cingoli, ma vengo sovrastato da alcune difficoltà che alla fine ringrazio per avermi consegnato nuove bellezze. Ah! la bicicletta che passa ovunque e rende piacevole lo sguardo. Una strada dissestata e franata, oramai in disuso da molto tempo, presenta tratti che si possono percorre anche in bicicletta ma con buche in grande quantità. Dopo l’incontro con un gruppo di giovani rocciatori in località Parco Naturale Regionale Gola della Rossa e di Frasassi, decido di procedere comunque sulla strada interrotta e vietata che mi ha dato uno scenario inaspettato, con pareti alte friabili (apparentemente) e a strapiombo, con cave di pietre e gessi, e che ora prosegue in discesa. Ma scendere con le buche posizionate ovunque e i massi da schivare in ogni dove, preferisco procedere a piedi finché non sono certo che la situazione di pericolo sia trascorsa.
Mi rendo conto in questo modo di osservare la gola e le altezze delle rupi che sembrano liberare massi da un momento all’altro. Cerco l’ombra risanatrice e controllo l' eventuale presenza di fauna. Il mondo è sempre vivo intorno a te. Non solo rumori della adiacente superstrada in costruzione, ma anche vivaci sciabordii nel fondo valle e chiaccherii di avifauna poco lontana. A tratti al mio fianco transita la nuova superstrada quattro corsie: privilegio per il traffico a motore che in questo modo accelera la sua corsa, condanna invece per il traffico lento (escursionisti a piedi o in bicicletta) per l’abbandono e la vergogna, in cui versa uno scenario così fantastico, per l’assenza di un percorso decente da percorrere, anzi proibito. La bella sorpresa invece è la salita verso Cingoli attraversando l’omonimo lago.
La diga fa da palcoscenico per le fotografie. E le barche, e i lavori nei campi, e i riflessi sull’acqua si mettono in posa e la musica del silenzio rinnova il suo ritornello facilitando riprese e respiro. Un luogo che non lasceresti mai e allora ringrazio il giovane che lungo la strada, interpretando la mia filosofia di viaggio, me l’ha suggerito: “guarda però che sale parecchio” e il suo amico indicando la mia e-bike sorride. Annuii anch’io.
Quinta tappa: Cingoli, Jesi, Senigallia, Fano, Km. 85
Cingoli, ”balcone delle Marche”. Così viene definito il paese sopra il cartello stradale. Ma del paese vedevo solo la zona alta e immaginavo cosa si potesse vedere dall’alto oltre il colle. Già l’arrivo verso sera segnò un grande punto a suo favore. Dall’Hotel Tetto delle Marche dopo la cena al ristorante dei Conti a 700 metri di altitudine, la luce del sole teneramente si spegneva e la pianura si accendeva di fazzoletti colorati di coltivazioni indistinte. Una leggera foschia lasciava immaginare che oltre ci sarebbe stato il mare Adriatico, in parte quello del Parco Naturale del Conero e pure quello della costa senza fine verso sud. Di buon mattino visitai il paese e le sue dimore ristrutturate, le strade pulite e ordinate, i vasi di fiori sparsi sugli usci, la piazza con il palazzo Municipale cinquecentesco, la cattedrale, ancora il belvedere a luce diurna, e tutti i particolari che paesi di questo tipo conservano per tradizione e per passione. La storia non si cancella anche se non la ricordi, ma a Cingoli in ogni angolo essa rivive risvegliata e rinvigorita.
Godere della discesa verso Jesi è l’estasi mattutina, che ravvivo ancor di più dalle soste per foto, cercando di fermare nei pixel le panoramiche che lo sguardo propone. Luoghi irraggiungibili dove la fantasia si rifugia per farsi a tutti i costi creativa. Perfino un matrimonio in una chiesetta lungo la via favorisce il desiderio di fotografare…ma ahimè lo schermo della fotocamera appare nero e non si accende. Il rammarico di non aver caricato la batteria della fotocamera mi toglie un po’ la gioia del momento.
Ma l’ avvicinamento a Jesi mi dava conforto perché durante la pausa pranzo avrei comodamente potuto ricaricare batteria e spirito. “Senza la fotocamera soprattutto in bicicletta”, mi dissi, “sei un uomo morto”: connubio che è nato da ragazzo e che ogni pagina dei miei scritti è frutto sia delle pedalate e soprattutto delle immagini acquisite.
Ragionando in tal modo, Jesi arriva quasi all’improvviso. Una cittadina di grande suggestione per la storia che ha vissuto e scritto, per l’architettura che conserva, le mura, il teatro Pergolesi, la pinacoteca civica con le opere di Lorenzo Lotto, le chiese, e quel dedalo di viuzze dove è facile smarrirsi.
San Settimio, martire, primo vescovo fondatore e patrono della diocesi di Jesi è nato in Germania. Abbandona la carriera militare per servire Cristo. Il papa Marcello, consacrato vescovo lo invia nella città di Jesi ancora pagana. A causa della predicazione fu fatto decapitare dal rappresentante imperiale di Roma al principio del IV secolo" questo il riassunto di quanto scritto negli Acta Sanctorum. |
Nelle prime ore del pomeriggio incontro il mare. Agognato fin dal primo mattino, attribuivo all’evento un rilassamento mentale e fisico, anche senza bagno, dopo l’approfondita immersione di stupore e cultura dei giorni precedenti. Il mare Adriatico lo si può seguire lungo la sua costa per molti chilometri in direzione nord. La mia destinazione della giornata e della settimana in bicicletta è Fano. Pertanto con il mare piatto, il cielo sereno, andatura classicamente lenta, mi dedico all’osservazione di molti elementi particolari che fanno del mare la meta preferita del turismo. La stagione non era ancora terminata, molti i bagnanti a passi lenti sul bagnasciuga, numerosi quelli seduti sui tavoli ancora per pranzare, i profumi del sugo e del fritto erano i più penetranti, (mi facevano pensare al menù da scegliere di sera), i bambini più piccoli dormivano nei passeggini affondati nei loro “grandi” pensieri, i grandicelli avevano la forza invece di correre avanti e indietro dalla spiaggia al tavolo dei genitori con in mano ora una patatina ora un pezzo di Hamburger. Gli ombrelloni, dai diversi colori, distintivo di ogni spazio attrezzato, erano tutti aperti impedendo al sole cocente di disturbare la pennichella di adulti e anziani. La città di Fano mi offre un gradevole albergo, Hotel Corallo, giusto in seconda fila, per riposare e dal balcone continuare a vedere il mare.
Sesta tappa: Fano riposo. Monte Giove, Novilara, km 35
La giornata di riposo pensavo di trascorrerla in spiaggia, ma dopo un paio d’ore, sento la voce della bicicletta che mi chiama. A riposo, anche lei non ci sta. Insieme ancora esploriamo la città. Piazza XX Settembre con tanto di fontana e dove troneggia il palazzo della Ragione, Museo Civico e Pinacoteca, le Due Tombe dei Malatesta (poco visibili non solo per l'ubicazione, ma anche per la polvere depositata dal tempo e ancora giacente), l’Arco di Augusto, e le piccole sfumature che fanno di queste città murate un cofanetto di piccoli tesori entro il quale adagerò anche i miei ricordi.
La custode del museo Civico, dopo la sua chiacchierata e i miei commenti favorevoli sulla pinacoteca, mi consiglia di visitare l’eremo di Monte Giove. A sentire “monte” la mia bici sussultò, la tenni stretta e ci trovammo insieme sulla via indicata dalla mappa. Sette chilometri sono stati sufficienti per arrivare sul monte, ma gli ultimi 1000 metri la strada si impenna, tanto da farmi apprezzare l’acquisto della bicicletta servo-assistita.
Pedalare con grande gioia senza arrivare allo stremo della fatica e col respiro affannoso, ormai potrebbe essere pericoloso alla mia età. La visita al luogo durò solo il tempo di qualche foto esterna e del paesaggio che si apriva dall’altura. Era la giornata di chiusura dell'Eremo. Il tempo di leggerne le caratteristiche sulla guida, fare alcune foto al panorama e poi cercare il ritorno per altra via. Posai la mia attenzione per il finale su Novilara.
Attraversando strade di campagna sterrate e senza abitazioni, mi resi subito conto che mai scelta fu più azzeccata. Da sottolineare che solo in un tratto fui costretto a scendere dalla bicicletta per non cadere nel tranello di lasciarmi andare lungo la discesa ripida sterrata con sassi e polvere. Ma i campi di girasoli "impazziti di luce" ormai maturi e bruciati con le grosse teste pendenti, i vigneti con chicchi d’uva dolce che si lasciavano cogliere ancora, alberi isolati dal grande fusto esuberante, casolari disabitati e grande silenzio ovattato, mi arricchì di entusiasmo che non si smontò con l’arrivo a Novilara.
Anzi l’incontro con questo paese segnò la giusta conclusione di un pomeriggio, non programmato e non qualunque, ma degno di un ricordo attraverso l'incontro cercato con anziani del luogo prima e con cicloturisti di Baviera, dopo. Novilara, un luogo panoramico, che sente l'odore del mare, con la sua storia antica da raccontare, le sue mura, le stradine lastricate e pulite, e dove la vita quotidiana, quella frenetica conosciuta nei giorni precedenti a questo viaggio, è assente.
Con nostalgia domani si torna a casa.
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