Da Londra a Verona, I^ parte

con un gabbiano per amico

Aaron, il gabbiano di Folkestone, è un viaggiatore molto curioso. Passa il tempo, appollaiato su un palo o in volo, ad osservare gli esseri umani al punto di riuscire a leggerne i pensieri. “Una donna italiana con la nostra chiave inglese in mano” si chiese, “che cerca di assemblare una bicicletta bianca, rossa e blu, qui all’aeroporto, voglio proprio vedere cosa combina”.

Giovedì 4 luglio, aeroporto Gatwick di Londra

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“E’ la prima volta che seguo una cicloturista, avevo già notato che in alcuni paesi esistono due strade parallele:quella per le automobili e quella per le biciclette. In quest’ultima posso spiarli meglio, mi sembrano tutti semplici, tranquilli e sorridenti, parecchi rispettano la natura, prometto che non farò i soliti dispetti dall’alto. Poverina, la tipa, con quanta emozione ha telefonato alla zia che vive a Londra e che non vede da 30 anni.

Questa le risponde: “Mi dispiace, non posso raggiungerti perché ho mal di testa”. Cosa? Io al suo posto avrei preso cinque perle d’ostrica (le vostre pillole) pur di vedere mia nipote. La tipa, (che chiamerò Bea) avrebbe dovuto risponderle “ma io non voglio fare l’amore” che so in Italia è molto usato ma dovendole parlare in inglese (lei è polacca) sicuramente non avrebbe afferrato la battuta. Si sorbisce anche la lunga raccomandazione sulla pericolosità di viaggiare in bicicletta nel traffico inglese.

Profondamente delusa, Bea tralascia la visita della città poiché già la conosce bene e, sotto leggere nuvole e una temperatura di 19° si avvia verso Greenwich per raggiungere l’hotel prenotato con un mese di anticipo e si concentra per tenere la sinistra, ma i double decker bus, quei bussoni rossi a due piani, sembrano andarle addosso ed alla prima rotonda viene presa dal panico non sapendo a chi dare la precedenza. Scende dalla bici, percorre a piedi sul marciapiede un breve tratto dopodiché si rende conto che basta guardare la segnaletica orizzontale.

L’albergo è squallido, il colore più allegro è il nero, il bagno è in comune (per urgenze occorre fare domanda al sindaco) e la bici deve essere legata per protezione al palo nell’atrio esterno. Appena sente dire alla reception che “oggi non c’è posto, le stanze sono tutte prenotate a causa del concerto di Michael Bublé”; ecco che il nero diventa azzurro, il bagno somiglia a quello di casa e su quel letto cigolante si addormenta felice e serena. Buona notte, cara Bea, cominci a piacermi, la bici la terrò io sotto controllo.

Venerdì 5 luglio Greenwich – Folkestone 151 km.

poponte londra

Mi sveglio prestissimo, il termometro segna 16°, la seguo pedalare attraversando le zone residenziali. Qualche tratto in campagna , con strade sufficientemente larghe e sempre in pianura fino a Canterbury. Molto pittoresca (come diceva l’italiano Montesano con accento inglese) questa cittadina è circondata da mura medievali, l’unica porta originaria rimasta, era usata un tempo come prigione e conserva alcuni strumenti di detenzione, armi e armature. 0ltre alla famosa e stupenda cattedrale ci sono i vicoli con i pub caratteristici , le casette colorate, quelle storte in legno e quelle “stile Norimberga” a graticcio.

Siamo nel Kent, la zona del luppolo che dona alla birra il tipico gusto amarognolo e la temperatura è salita a 28°. E’ proprio il momento giusto per assaggiarne una. La mia signorina, poi ha seguito la ciclabile n.16 che attraversa le campagne, spesso stretta, ed ho notato che le macchine qui non sorpassano (“in Italia, lei sta pensando, con uno spazio simile ti fanno il pelo), mentre sulla statale li superano stando molto alla larga. Improvvisamente appare l’enorme castello di Dover! Basta scattare foto, pupa, comincia a farsi tardi e qui non trovi da dormire.

Ti conviene raggiungere il mio paese: Folkestone seguendo la ciclabile n.2. Il percorso è misto con sterrato e asfalto, non c’è anima viva e alle 18,00 noto il suo volto preoccupato, perché assalita da strani pensieri del tipo “buco, mi si rompe qualche pezzo e rimango qui al buio tra le pecore ed il mare”. Invece raggiunge la meta e viene premiata della fatica: subito un hotel, anche se orribile, tanto da sembrare una nave da crociera e per avere una camera si segue una procedura allucinante, un rompicapo per prenotare.

Bea chiama da un loro telefono il n.4000, risponde a parecchie domande in inglese, fa lo spelling di nome e cognome, residenza e non so cosa altro, ed infine era quasi sicura che scendesse il cartello “sei su scherzi a parte” e invece la voce dall’altro capo ti detta un n. di 9 cifre che se non hai la penna o non ti viene in mente di scriverlo sulle note del cellulare sei fregato. Non so dire di più, ma ce l’ha fatta ed entra nella sua reggia da 35 € con vista sul mare.

I miei amici gabbiani, che intendono conoscere questa nuova principessa, passano in continuazione e insieme a lei assistiamo al fenomeno delle maree. Infatti appena arrivati le barche erano poggiate sulla sabbia e dopo un’ora galleggiavano sull’acqua . Si vedono le famose bianche scogliere e la Manica è piatta. Stirano bene le donne inglesi! Ecco perché in camera c’è perfino il ferro da stiro! L’hotel è stracolmo di turisti, c’è di tutto: ristorante, bar, sala fitness, sala giochi, teatro e la sera organizzano bingo, musica e spettacoli.

Prima di andare a dormire è meglio assicurarsi che non ci sia anche il capitano Schettino. Il paese è tutto da scoprire. Le luci sembrano dare un sapore natalizio ai localini sul mare, invece salendo si scopre il centro moderno. Ovviamente cena a base di pesce per entrambi: lei cotto e bollente, io crudo e freddo. Dai, Bea, forza che domani torni a pedalare a destra.

Sabato 6 luglio Fokestone – Dover – Calais – Desvres 70 km.

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Stamattina ho organizzato una sveglia spettacolare con i miei fratelli: siamo passati tutti insieme intonando un coro con il nostro verso perché so quanto gli italiani amino il casino. Mi dispiace per la colazione a base di salsicce e uova, ma vedessi che carogna mi sono pappato io! A Dover incontriamo un cicloturista inglese che accompagna Bea gentilmente ai traghetti e le consiglia la compagnia meno costosa. Qui l’amara sorpresa: la tratta Dover- Boulogne-sur-mer è momentaneamente sospesa, bisogna andare a Calais, ma alla fine c’è una soluzione: il suo ferry partirà alle 11.30 (erano le 9!) e quello dell’inglese alle 9.30.

Bastardo! Poteva spiegarle che quella economica aveva orari diversi! Oppure è in corso una gara a chi vuole arrivare primo? Nell’attesa un bresciano nostalgico capisce la nazionalità della mia osservata speciale dalla maglietta dello Stelvio che indossa, e si avvicina incuriosito per chiacchierare e augurarle buona fortuna. Vive in Inghilterra da tanti anni ma ogni estate torna in vacanza in Italia.

Durante la traversata i miei parenti m’inseguono ma lo fanno anche per farsi ammirare e fotografare da tutti. Sbarcati a Calais dobbiamo raggiungere Wissant, 30 km non programmati. Peccato per la foschia che non lascia intravedere il mare in lontananza. E’un alternarsi di salite e discese con paesaggio monotono di campagna. Alle 19,00 arriviamo a Desvres, tardi per cercare una accomodation. Colpa di quel panzone d’un ciclista e del traghetto soppresso, sbotta Bea, dopo averne visitati due e al completo.

Gliene indicano uno un po’ fuori strada avvisandola che è caro. E’ uno splendido relais immerso nella foresta, una notte sarebbe costata 100 ma non c’era posto. Panico! Che fare? Sono ormai le 20,00 Il paese più vicino dove forse si può trovare un letto è a 40 km. e la strada è un continuo saliscendi. Batto le ali sperando si volti e si accorga che siamo circondati dal verde, insomma, le suggerisco, ma che italiana sei, dove è l’inventiva, la creatività e l’arte di arrangiarsi? Scossa da questo mio suggerimento chiede alla signora se per caso sia possibile piantare la piccola tenda da qualche parte.

Lei gira la richiesta al titolare che accetta e gliela fa sistemare dietro ad una casetta. Bella invenzione le salviettine umidificate, così ci si può sistemare un po’ per la cena. Intorno a lei tutta gente elegante. La mia stanca signora, consuma la cena con molta attenzione ai prezzi del menu, (piatti grandi, poca sostanza ma una buona birra artigianale) e va subito a dormire. Il titolare le promette che al risveglio potrà fare colazione e usare il bagno doccia compresa. E poi dicono che i francesi sono odiosi, meglio sorvolare. Io mi apposto sopra il tetto e mi godo silenzio e firmamento.

Domenica 7 luglio Desvres – Lille 102 km.

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Brrr.. che nottata umida, la tenda è piena di goccioline ma cosa pretendere di più? Agli animali del cortile (asini ed oche) è bastato un mio sguardo e non hanno fatto alcun verso e dopo la colazione la mia cara turista ha scelto di partire senza approfittare della doccia, tanto avrebbe sudato subito. Oggi la soprannomino “lingua bruciata della tribù dei piedi rossi” perché in questi giorni, causa fame esagerata, ha sempre mangiato pietanze bollenti senza attendere che si raffreddassero e con i sandali le si sono arrostiti i piedi. Stiamo attraversando campagne desolate, senza hotel né fontane.

Noto che perfino i cimiteri hanno i rubinetti chiusi. E’ facile così intuire perché i supermercati si trasformino in fresche oasi. Eccoci a Lille, vicino al confine con il Belgio. La sua cittadella fortificata a forma di stella e la piazza con le antiche case fiamminghe la rendono un gioiellino prezioso. Il desiderio di un materasso comodo e di una doccia tonificante porta, Bea, ad accettare il primo hotel in pieno centro pur spendendo 68,00€.

Lunedì 8 luglio Lille – Maubeuge 121 km.

Dai 23 gradi di Lille siamo passati, lungo la strada ai 35, ma sempre accompagnati da un’arietta fresca molto piacevole grazie alla quale non si sente il sole bruciare e pedaliamo (ormai mi sembra di farlo anch’io) sempre vicino al confine con il Belgio. Sulla strada provinciale c’è quasi sempre la corsia dedicata ai “vélo” ed il paesaggio è caratterizzato da casette di mattoncini marrone. Ore 17,00: rivedo sul suo volto ancora l’espressione del panico! Non si vedono alberghi ed è assolutamente necessario raggiungere Maubeuge segnata sulla mappa stradale come cittadina più grande. Ladies and gentlemen, beccato subito, (mi piace questo modo di dire umano).

Voilà “Le Velodrome”, un semplicissimo bar con il cartello “chambres”, ma con il ristorante. La titolare è simpaticissima, mette bella musica ad alto volume ed ogni tanto, per staccare, lancia “Non, je ne regrette rien” di Edith Piaf e tutti i presenti cantano a squarciagola. L’età dei clienti va dai 40 ai 60 anni, ballano tutti tranne l’italiana tanto da attirare l’attenzione del gigolò del paese che, sedutole accanto, continua a fare smorfie per volerle far capire che gli altri sono tutti pazzi. E’ carino, biondino e fisicamente ok. Si intavola una discussione in un mix di francese/italiano/inglese/spagnolo e lui racconta di essere un gran viaggiatore.

La loro postazione è strategica, proprio davanti a una vasta scelta di birre belghe alla spina ed incitata dal bel Jean Paul la mia cicloturista le assaggia tutte: “tanto per raggiungere il letto devo soltanto salire le scale” pensava. Verso le ore 21,00 la centrifuga del suo stomaco si mette in moto fin a farle sentire i crampi per la fame. Nessuno in quel luogo sembra avere l’intenzione di aprire il ristorante. La proprietaria stessa interessata di più a partecipare alle bevute, decide alla fine di ordinare delle pizze. Jean Paul a tarda sera le scrive una proposta “hot” sul cellulare...eh sì, non potrà più dimenticare, si è proprio innamorata… della buonissima birra Affligem ai frutti rossi!!! Tornata in camera si specchia e capisce tutto: aveva le labbra gonfie dal sole a tal punto da sembrare siliconata.

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