Spalato, Mostar e Sarajevo (II^ parte)

da Mostar a Sarajevo

Sarajevo, pavimentazioni scorticate e dipinte di rosso non lasciano spazio a diverse interpretazioni.

Terza tappa: Mostar-Sarajevo 135 km.

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Usciamo da Mostar, lungo una strada dolce, anonima come tutte le vie tristi che percorrono le meste periferie, con capannoni ai lati, insegne di pneumatici, di "vattelapesca" slavi e i frequenti chioschi di frutta e verdura, soprattutto cocomeri. Qualche casa non ristrutturata spunta dalla campagna con tanti buchi, forellini e tetti scoperchiati.

Alcuni chilometri dopo la strada inizia a dimenarsi e salire un poco, la campagna lascia spazio alle rupi e alla nostra sinistra scorre un fiume verde: la Neretva. Questo bel fiume nel suo lungo corso è più volte sbarrato da piccole dighe; si creano così invasi che diventano ora allevamenti di pesce ora suggestive zone balneari. La via da Mostar, a Konjic, affianca le verdi acque offrendo panorami inusuali; in qualche modo rendono meglio sopportabile il traffico sulla strada che non è stata certo prevista per l'uso ciclabile.

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Il problema del traffico si evidenzia poi oltre Konjic allorquando la strada sale decisa e le auto passano troppo veloci e troppo vicine, ponendo in pericolo la nostra incolumità dovuta anche all’andatura barcollante e all'incapacità di mantenere una traiettoria lineare. E’ il terrore che ci fa fermare ad un certo momento presso un edificio che si rivela essere un magazzino di latticini. Riusciamo a strappare un passaggio in furgone fino al termine della salita di complessivi 12 km.

Ci congratuliamo per la scelta fatta e per la fortuna avuta dopo aver visto che oltrepassiamo due tunnel, di cui uno senza illuminazione ed uno dannatamente lungo. Sarajevo è laggiù, ci aspetta a 23 km. La strada scende svelta e successivamente l'innesto ad una autostrada riduce fortunatamente il traffico sulla nostra via. E' tardo pomeriggio, siamo stanchi ma ora abbastanza sereni.

C'è tempo ancora per una sosta al chiosco per bere qualcosa in linea con le nostre diete supercaloriche. Nel pedalare la lingua non si frena e fra le cazzate che ci si diverte a sparare per far passare meglio alcuni km noiosi, ci si immerge spesso in considerazioni pesanti sugli accaduti in queste terre, filtrate però dall’informazione di quegli anni.

Ci si è domandato al prezzo di quante vittime siano state pagate armi, ordigni e i mezzi militari che l'Europa (e l’Italia) ha fornito alle parti in causa. Ci si è chiesto in che misura sono prevalse le convenienze economiche rispetto ai concreti impegni per sedare il conflitto, per evitare gli esodi e le morti di tante persone. La risposta credo sia purtroppo triste. L’entrata a Sarajevo ci preoccupa con il caos di vie.

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Si vorrebbe percorrere una via secondaria e tranquilla ma ci si ritrova in una tangenziale manco a dirlo piuttosto trafficata. Svoltiamo per uscirne e cerchiamo qualche indicazione, ma oramai siamo in vista del centro e una lunga e nuova ciclabile ci porta in linea retta, al centro di Sarajevo. I grandi e nuovi palazzi lentamente lasciano spazio a qualche storica struttura. Nulla fa pensare che....è tutto incredibilmente, nuovo, verde, pacifico, affollato da famiglie, giovani e bambini lungo le vie pedonali che costeggiano la Miljiacka.

L’ostello Franz Ferdinand (dedicato all’arciduca della dinastia degli Asburgo in Austria ucciso proprio a Sarajevo nel 1914) è un palazzo alto e stretto di inizio secolo scorso con scale e stanze anguste ma tutto strutturato per ottimizzare gli spazi. E’ il nostro nuovo alloggio. Le bici restano legate nell’atrio. Usciamo per strada finalmente liberi da ogni peso. Visitiamo i pressi della grande moschea Istiqlal. Camminando nel centro l’architettura di inizio 900 muta in “islam” che ricorda Istanbul: è la Baščaršija, la parte centrale, antica e islamica della città, zona di mercato e gastronomie, luogo di passeggio e di incontri.

E’ quasi disorientante, ma è solo frutto della nostra rigida visione monoetnica. Ci si abitua subito al balzo di stili degli edifici, ai costumi delle persone e al mix etnico che in questo luogo vige come assoluta normalità ma che, sicuramente, la guerra scorsa ha contribuito a rilevarne invece le presunte difformità. Ci disperdiamo nel flusso umano, curiosi e affamati come ogni sera. Lungo un giro panoramico, seppur limitato, troviamo anche i punti dove sono caduti, vittime delle granate, molti sarajeviti, senza percorrere necessariamente un lugubre tour.

Quelle pavimentazioni scorticate e dipinte di rosso non lasciano certo spazio a diverse interpretazioni. L’ultima sera passa piacevolmente in compagnia di altri italiani in un localino nella Baščaršija, in uno scambio di impressioni sulla città, sugli abitanti, sulla Bosnia in genere. Chiacchiere interessanti, ricche di storie, aneddoti ed altre cose che, per pudore e rispetto, non abbiamo voluto chiedere alla gente del luogo.

Quarta tappa: Mostar- Ploce 70 km.

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Nel tratto Sarajevo-Mostar prendono posto su un autobus bagagli e biciclette complice un l’autista. Intanto fuori scorre la strada e ritroviamo i posti di giorni precedenti. Nuovamente a Mostar ci fermiamo solo a fare un’altra colazione al già sperimentato locale fornito di torte. Ritroviamo fra alterne vicende la salita fra le rocce per uscire da questa valle per sorprenderci che in un lampo siamo in cima pronti a pedalare la stessa strada per Medjugorje.

Mentre nella Bosnia interna era ben visibile lo svettare dei minareti ora le zone di influenza croata ostentano il loro orientamento religioso cristiano, quasi un nuovo confronto ideologico, ma la pacifica convivenza osservata nei paesi allontana per il momento il funesto dubbio. E' a Ljubunski che lasciamo finalmente la via vecchia per quella che ci porterà in adriatico. Il confine bosniaco-croato è vicino, non sappiamo quanto, ma è vicino.

“Eine Kilometer!” esordisce in tedesco l’omaccione intento ad innaffiare i fiori, poi con il gesto della mano fa capire che oltre sarà tutta discesa verso il mare. Vorremmo credergli, ma diffidiamo di chi da indicazioni senza essere mai salito su una bicicletta. E’ passato il fatidico “eine kilometer” eppure vediamo che la strada sale ancora, poi discende in una vallata verdissima tutta segnata da soavi linee di filari delle vigne.

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Peccato che in un catino di ragguardevoli dimensioni coltivato esclusivamente a vigna, non ci fosse anima viva a cui chiedere una… degustazione.La via aggira il grande catino, sale ancora e ridiscende in una valle sorella alla precedente, più piccola e senza coltivazioni. Ma del mare nemmeno l’odore lontano del salmastro.

Una striscia azzurra anticipa la costa che comunque non è proprio vicina. Constatiamo così che solo gli ultimi 500 mt sono in discesa. A Ploce (o Porto Tolero) ci aspettavamo di trovare una caratteristica cittadina costiera, invece si presentano grigie costruzioni-formicaio in architettura socialista anni 60-70, proprio brutte! Oltre il promontorio si intravedono i moli e le strutture di cantieri navali. Le barchette colorate sono le uniche note non stonate in questo tutto decadente. Così è pure l’albergo a cui chiediamo alloggio. L’idea di essere sulla costa ci rende sereni e bendisposti alla …vacanza!

Quinta tappa: escursione a Zaostrog Pedaliamo lungo la costa per solo 25 km e

Al primo ameno paesino servito da campeggio – Zaostrog -, ci fermiamo, piantiamo le tende e corriamo a mettere a mollo il fondoschiena. Le spiagge non hanno certo la vastità di quelle dalla nostra parte di adriatico e nemmeno la sabbia, sono solo ciottoli, ma il mare è limpido, profondo e blu. Relax! Ci fermiamo un paio di giorni al campeggio valutando i tempi per il ritorno a Spalato.

Sesta tappa: 65 km.

Pensiamo che sia utile percorrere l'isola di Havrdata la vicinanza del porto di Drvenik, che risulta essere un posticino gradevole. Fa molto caldo e da spavaldi procediamo a torso nudo. La strada sale lieve nella bassa pineta, il traffico minimo è relativo solo agli sbarchi ogni mezzora. La strada prende quota e il panorama si perde nell’ azzurro mare; si aprono baie fantastiche ogni 3 km e si vorrebbe rispondere all’invito dei cartelli turistici che le indicano, ma vogliamo arrivare almeno all’altro capo dell’isola.

Ad un bivio ecco il segnale, per una konoba situata in un posto fantastico; ombra e frescura, il panorama del mare e della costa di fronte. Ci vengono serviti alcuni piatti con vari assaggi e birra fresca. Riceviamo altre indicazioni dalla ragazza della konoba e ripartiamo per giungere a Jelsa, tipico abitato servito da alcuni campeggi stellati.

Settima tappa: 70 km.

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Ci fermiamo in quello con meno stelle ma che secondo noi è il più suggestivo, proprio davanti ad una piscina naturale. Le tendine prendono forma a due gradini dal mare e appena piantato l’ultimo picchetto mi tuffo così ancora con i pantaloncini da ciclista addosso. Nel fare il programma del ritorno, c’è la nostalgia di lasciare definitivamente questo paese.

Appena dopo il porto di Stari Grad la strada si arrampica forte per la montagna e beffardamente il cielo si ingrigisce. La salita è anche lunga ma la ciliegina sulla torta è un tunnel lungo 1500 mt nel quale è vietato l'accesso alle bici; luminarie accese e passiamo lo stesso. Potevamo fare diversamente? Oltre il tunnel il vento, la discesa, il panorama suggestivo fino a Hvar.

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Il centro e il porto della cittadina veneziana, ci accolgono con un temporale furioso, le pietre lisce della pavimentazione non fanno filtrare l'acqua e la piazza si riflette sulle ampie pozzanghere. Nel porto sono ormeggiati alcuni giganteschi yacht di cui uno assomiglia in maniera inquietante all'aereo Stealth. A Stari Grad, sotto un ombrellone al riparo dall'ennesima pioggia, si pranza in attesa del pomeriggio e della sera. Per fortuna il bel tempo ritorna e si scalda subito l'aria; c'è modo di riposare sdraiati al caldo sul molo e Vanni si concede l'ultimo bagno in mare a Stari Grad.

La nave è già piena di gente che ha occupato ogni angolo dei corridoi per passare la notte, qualcuno ha addirittura montato una piccola tenda. Nell'angolino sulla moquette calano le nostre fatiche, ma cresce la triste consapevolezza della fine di questo giro. (testi e foto di Marco Zoffoli in collaborazione con Vanni Petrillo)

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leggi anche prima parte

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