Uomo in salita di Niccolò Bulanti. E’ forse lo scrivere men duro di scalare montagne in bicicletta?
E’ forse l’arte dello scrivere men dura di scalare montagne in bicicletta?
Il libro “Uomo in Salita” di Niccolò Bulanti edito da ediciclo editore con la prefazione di Enrico Camanni mi ha messo a confronto con la passione, con l’animo, la personalità dell’autore Niccolò Bulanti. Trasformare le idee in pedalate, le pedalate in pensieri, i pensieri in pagine è forse un’impresa più difficile di quelle che egli racconta nel libro. Il carattere, la caparbietà, l’ostinazione e la predilezione per le difficoltà, doti con le quali l’autore si muove per cercare emozioni, rivelano molte cose su lui. Quanto egli esprime nelle sue pagine mi ha coinvolto nelle sue fatiche, svelandomi una personalità di uomo sensibile, profondamente ancorato a idee essenziali, determinate, capaci di produrre, (o indotte ancor più si può dire), da un animo aperto e attento. Uno sportivo a modo proprio, impegnativo da comprendere, ma che la profondità dei pensieri e delle immagini che attraversano la lettura del libro, produce nel lettore, un inatteso modo di capire la passione che lo muove:
“La salita rende umili. Solo sottomettendosi ad essa si lascerà percorrere”.
Il mondo che racconta, la Valtellina fertile di salite, è più vasto di quello che percorre. In esso ho trovato, e sono sicuro troveranno anche i lettori, un significato mistico, non tanto perché la salita avvicina al cielo, ma perché “è da lassù che il mondo ci viene offerto, è da lassù che ci presentiamo al mondo e ne avvertiamo l’ebbrezza. Più vicini al cielo noi veniamo al mondo.” Non ci sono regali più meritevoli da accogliere nell’universo che quelli frequentati e descritti in sella all’amore della prima bicicletta. Nel procedere in salita siamo invitati a pensare alla libertà con libertà, quasi misticamente galleggiare “tra cielo e terra” senza rumori, senza fretta, senza troppo contatto con il terreno “un modo lieve e fragile tra il sogno e il pragmatismo”, percorrendo il mondo, senza timore di infrangere regole costruite per altri mezzi di locomozione.
"Sentire il proprio corpo vibrare “come se applaudisse con sarcasmo a se stesso”
La puerile, come la chiama l’autore, euforia lo rende idoneo, ma abile, a percepire suoni di foglie sospinte dal vento che cantano “antiche melodie”, a sentire il proprio corpo vibrare “come se applaudisse con sarcasmo a se stesso”; e in epoca di pandemia, che tutti opprimeva e intimidiva tenendo chiusa la creativà fra le mura domestiche, l’autore si fa “un pescatore che molla l’ormeggio del piccolo porto per il mare aperto”. Richiamato dalla voce del genitore in età giovanile, sceglie il desiderio di riascoltare “il cantare degli uccelli, lo stormire delle fronde”. Mosso dall’incontro con avvenimenti (lontano dal cercare il pericolo di imprevisti), con la commozione di semplice osservatore, di un curidor dal cuore sensibile e semplice, è pronto a scoprire anche se stesso e provare cosa ne sarebbe emerso da questa singolare ricerca. “L’elefante mi sta al passo, si muove con me, con la stessa testa bassa a conferma della tenacia nella lunga marcia che dal Serengheti l’ha portato qui” e nelle immagini riconosce e zanne e testa e profili nella conformazione di ombre cinesi in galleria illuminata dal debole suo fanale. “Che mi resta se non andare avanti, vivere nella più basica delle immanenze?” e magari incontrare pure Moby Dick rituffarsi nelle gelide acque della sua pedalata notturna alpina. Fondersi nel creato ed esclamare nella notte stellata, più vicino ancora al cielo: “attorno a me il deserto, dentro l’universo”.
Le metafore sono carezze per l’animo del lettore
Le metafore sono carezze per l’animo del lettore, nel modo di raccontare di Niccolò Bulanti, la poesia è una costante: “le linee di neve sono come vene dure sul dorso di un pugno poderoso” “il sasso di Remenno è la più grande lacrima sfuggita agli occhi delle cime, un dente caduto dal loro sorriso” “massi conversano tra loro di concetti che non ci appartengono e pedalo via come il più lieve degli ospiti” di questa, sua, silvestre Scuola di Atene. “Piccole trote guizzano come fossero le idee nella testa dei bambini o degli adulti ancora parzialmente tali”, “la bicicletta scorre via come musica, il pentagramma d’asfalto e il telaio nero lucido la nota più lieve”.
Forse non basta un libro. Chi già conosce Niccolò Bulanti non ha certamente la sorpresa di me scrivente, di averlo conosciuto ora. Mi è grata questa occasione e come ho letto: “l’amicizia si costruisce piano…una condizione più aderente all’andare in bicicletta. Più adatta al silenzio che alle fanfaronate”, oggi mi registro come un amico in più fra i suoi; un pen friend, come si diceva un tempo ormai dimenticato, quando c’era la pace e il silenzio di scrivere lettere ad amici e la calma di attendere le risposte che tardavano giorni e settimane. Ora che gli affaticamenti non sono più compatibili con la mia età (pur essendo una costante del tempo che percorriamo) e avendo sempre apprezzato chi scrive le proprie storie, faccio i miei complimenti ad un autore per un libro che ha appagato la mia indole, avendone apprezzato la scrittura vibrante quando la natura, vivente e parlante, nelle ascese del Mortirolo, di Pescegallo, dello Stelvio, del Passo del Foscagno, dello Spluga, del Passo Gavia mostra il meglio di sé per suggerire a chi legge suoni, gridi, voci, tuffi al cuore.
Un divenire, pedalata dopo pedalata, righe in versi di ineffabile suggestione.
Per concludere, affido al lettore la sua dolcezza:
“la nebbia mi trafigge, entrano in me le strade, mi espando, Europa, mano aperta per ammantare il globo e spremerlo nel pugno e trarne il succo: il respiro di secoli e di millenni. Sono nuvola e notte e acque. Nocciolo di fuoco e di terra. Giro e giro, miscelo alla nebbia le mie cellule, il vento del passo mi disperda sul mondo”. Ecco la vita che nasce, che cresce, che premia un Uomo in Salita. (Fernando Da Re)