"IL SOLE, LA BICI, L'AMORE"

Dentro al bar scelsi il tavolo con la maggior illuminazione possibile e sfogliai le notizie che già conoscevo, tristi, del 13 Novembre 2015.

Il giornale aveva viaggiato, quasi trenta chilometri, afferrato al portapacchi della mia bicicletta quella domenica mattina in cui andai a cercare, ciclabile e sole, in riva al lago. Un cuore di cacao sospeso sopra la schiuma di un cappuccino sciolse l’umore grigio di quella giornata. Altre volte avevo trovato disegnato un cuore sopra la densa superficie lattea, ma solo in quel giorno esso mi stupì. Si meravigliò la commessa del bar quando si trovò tra le mie braccia e stringendola la ringraziavo del gesto.

 

Una tenue foschia non permetteva ancora che la riva del lago fosse il luogo preferito per passeggiate e, qualora anche il sole avesse perforato quel velo di indifferenza, non avrebbe posseduto la forza per correggere in positivo i commenti che stavo leggendo. Parigi aveva spento le sue luci, la paura desertificava la città e si nascondeva dietro un coprifuoco poco utile alla ricerca di nemici; la chiamata alla speranza si manifestava in un esile istinto che non voleva farsi domare. Dall’estero il mondo s’interrogava sul perché il terzo conflitto globale fosse già iniziato. Baciavo quel cuore di schiuma caldo e profumato e lo percepivo freddo e senza sapore alcuno. Sorrisi alla commessa passatami accanto che mi restituì una smorfia d’intesa. Attraverso i vetri fioriti di una tendina ornata di ricami, la mia bicicletta in sosta, mi invitava per proseguire.

“Allons enfants”… quante volte avevo cantato e fischiettato l’inno francese nei miei ciclo-viaggi in Europa. E’ sempre stata una faccenda personale tra me e la musica cercare, lungo le ciclabili d’Europa, alcuni motivi musicali per farne, di uno almeno, la colonna sonora per tutto il viaggio. E più volte il tema musicale dell’inno francese mi dette la carica all’inizio di una salita, mi consolò nei personali momenti di solitudine, si trasformò in saluto nell’incontro con altri ciclo-viaggiatori, mi aiutò a rialzarmi da modeste cadute e mi invitò, a fine giornata, a sdraiarmi sul letto per il meritato riposo.

Ne conoscevo tutte le parole: erano state oggetto di traduzioni durante le lezioni di lingua francese in gioventù. Ora, da più di quarantottore, lo sentivo suonare e cantare ad ogni apertura di notiziario e programma di informazioni. “Allons enfants” con voci affrante, entrava nel silenzio delle stanze dell’abitazione: un gesto di riconoscenza verso una nazione ferita. “Aux armes”, che appariva un commento musicale di solidarietà e vicinanza, era ora la frase che mi suggestionava di più dopo aver letto i commenti dei giornalisti: sembrava una lusinga di guerra e mi infastidiva.

Percepivo “le jour de gloire” come un verso stonato. “Cosa c’è di bello nella gloria? Il suono della parola.” ripetevo con Marina I. Cvetaeva. Quale gloria e per chi? Il lago si stava riempiendo di pedoni e biciclette, e riflessi di un sole ancora incerto e insicuro, illuminavano ad effetto e acqua e ciclabile. Sventolava sul pennone del molo lo stendardo francese stretto ai compagni di tutta Europa. Presto avrebbe indossato il segno del lutto. Da sempre, pedalata dopo pedalata, la bicicletta mi insegnava a pensare, ora doveva aiutarmi a riflettere.

Il giornale tornò ad abbracciare il portapacchi e lungo la strada respirai la brezza e riconobbi, nei rumori silenziosi del lungolago, lo sciabordio delle onde, i versi dei gabbiani, i sorrisi dei bimbi. Fischiettavo ripetutamente il motivo francese, ma in contraddizione con le labbra, la mia testa non voleva assolutamente saperne di proseguire con “aux arms” e continuava, au contraire, a rielaborare un diverso motivo che poco a poco si fece più esplicito. “Da qualche parte avrò pure imparato anche questo”.

E fischiettavo, interrompendomi ripetutamente, finché approdai, sicuro, alla soluzione. La canzone che fluiva ora dalle mie labbra, iniziava con lo stesso incipit dell’inno francese, ma dopo alcuni paparapà di accomodamento, scorreva con un motivo diverso, quello giusto, ritornato fulmineo alla mente. Il sole mi riscaldava le spalle, il giornale produceva un regolare fruscio scosso dalla brezza, le mie labbra, dolci pur senza cacao, intonavano definitivamente, sorridendo “all you need is love, love is all you need”.

“Nel 1967 le battaglie erano state altre”, dissi tra me, “eppure la necessità d’amore, ora come allora, potrebbe essere la stessa”. E pedalando con il sole, il cuore scelse l’amore, per colonna sonora.

 

Il sole, la bici, l'amore di Fernando Da Re è il racconto scritto dopo gli avvenimenti di Parigi e rimasto inedito, che ha ottenuto la menzione letteraria al  "il Bicicletterario 2016" ed è stato inserito nel volume "Ruote tra le Righe.

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