Michel Onfray e la Coscienza Turistica. Il Viaggio come Risveglio dei Sensi

Osservare il mondo turistico contemporaneo, nell’era di Internet e del low cost, vero o apparente, invita a riflessioni che sconfinano nella filosofia. L’incontro con il volumetto di Michel Onfray, Filosofia del viaggio, offre l’occasione di confrontare le nostre esperienze con quelle del filosofo, saggista e intellettuale francese.

 

 

Anche se il tema può sembrare, a prima vista, elementare o persino semplicistico, leggendo pagina dopo pagina si scopre una profondità capace di andare oltre la mera didattica e di penetrare, dolcemente ma con intensità, nel possibile mutamento della nostra “coscienza turistica”. Onfray ci guida a percepire il viaggio non come semplice spostamento o consumo di paesaggi, ma come occasione di risveglio dei sensi, di attenzione al mondo e, allo stesso tempo, di noi stessi.

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Tra le pagine di Onfray si incontrano frasi che catturano il lettore, come piccole visioni. Una di queste recita: “Sentire con violenza il proprio corpo esistere nella dolcezza di un istante vissuto sulla modalità del magico e del meraviglioso.” Ecco la “dolcezza di un istante”, quell’ esperienza del meraviglioso che nasce all’improvviso, più facile nei luoghi sublimi, ma a volte in un luogo qualunque, quando tutto sembra allinearsi: il paesaggio, il silenzio, disponibilità di spirito, la consapevolezza di essere parte del mondo e non solo spettatori. Il “Sentire con violenza” che non è sofferenza, ma avvertire con intensità la propria esistenza, uscire dall’anestesia quotidiana per tornare a percepire, la luce, il vento, il ritmo del respiro, il dolce peso del passo o della pedalata, entrare in sé stessi.

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Onfray va oltre: vuole invitarci al rallentamento di quella che chiama l’isteria temporanea e turistica del viaggio. Che si basa sulla registrazione di ogni cosa con fotocamera o videocamera, con il rischio di ridurre la propria presenza nel mondo alla sola attività di filmare. Un modo poco proficuo per alimentare la memoria a produrre ricordi. In questo modo resteranno disordinati o inattivi per la sovrabbondanza di percezioni ordinarie, consuete, abituali. E intende indicarci una via più salutare: “Di un viaggio non dovrebbero restare che tre o quattro segni, forse cinque o sei non di più” attivati dall’ “invenzione dell’innocenza, necessaria al viaggio, dall’abbandono delle opinioni sullo spirito dei popoli, dal rifiuto dello sguardo egocentrico e missionario, ma anche l’affrancamento dai pregiudizi sulla forma del viaggio.”  L’autore insegna al lettore di avvicinarsi all’esperienza del poeta: “il viaggiatore ha bisogno più di un’attitudine alla visione che di una capacità teorica. Il nomade artista conosce e vede come un visionario, comprende e coglie spiegazioni per impulso naturale. Così vale per il poeta, visionario per eccellenza. Soltanto l’esperienza scritta permette di rendere conto della totalità dei sensi.”

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Infine approda alla poesia, la forma più alta di questo sguardo: “Essa è come la quintessenza del testo, ma anche la prosa, possono, in compenso, riportare e cogliere il profumo del gelsomino in un giardino orientale, la luce al di sopra di una città che si riflette nelle acque del fiume, la temperatura tiepida di una foresta tropicale satura dei profumi di terra, di humus di fogliame in decomposizione…”

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“Solo il verbo circoscrive i cinque sensi e oltre. La poesia si legge e si rilegge, si medita, e giunge al cielo chiamando continuamente la riattivazione della lettura.”  “Filosofia del viaggio” di Michel Onfray è un piccolo saggio, un buon libro per chi ama domandarsi non solo “dove vado?” ma “chi sono quando vado?”.

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Fernando Da Re

Un cuore, due gambe e una bicicletta. In testa sempre la fresca vivacità di raccontare. Il risultato lo ritroviamo in questo sito da lui creato e portato avanti con l’entusiasmo e l’impeto dell’atleta che cerca risultati.


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