Natale in casa dei nonni
Augurio di Natale
In ginocchio sopra la sedia, le nipotine spiavano il presepe come si guarda un segreto.
La credenza, solitamente un mobile come tanti, quella sera sembrava un palcoscenico. Le luci piccole, infilate tra la carta roccia, tremolavano appena, come se respirassero. Ogni statuina, così ferma e composta, custodiva una storia che loro ancora non conoscevano, ma che intuivano a modo loro: si avvicinavano a quel mondo con la stessa concentrazione di chi ascolta il mare in una conchiglia. Poi accadde qualcosa che solo i bambini sanno vedere.
I pastori iniziarono a muoversi — non veramente, ma abbastanza per loro. Il gregge sembrò belare piano, come se il suono venisse da un luogo tra la memoria e l’immaginazione. Una oca scivolò sul bordo lucido del laghetto, e le sue compagne la seguirono in quell’avventura fatta di dita curiose e precisione infantile.
Un vecchio con la lanterna fu spostato verso la grotta; più lui avanzava, più le pecore gli andavano dietro, disciplinate come un corteo silenzioso. Le palme e le casette restavano immobili, fedeli al loro ruolo. E forse era proprio questa immobilità a dare vita al resto. "Se potessero muoversi," disse la più grande, "sarebbero tutte attorno alla capanna! "La sorellina annuì con convinzione: il presepe era un mondo governato da leggi che loro due capivano più degli adulti.
Fu allora che il nonno si avvicinò. Aveva quel passo lento che si sceglie quando si teme di interrompere qualcosa di prezioso. Si chinò verso le bambine, e con una carezza leggera raddrizzò il fabbro, piegato da una mano troppo entusiasta. Per ogni personaggio raccontò una storia: perché il pastore anziano avesse un agnello sulle spalle, perché il fornaio portasse il pane come fosse un dono sacro, perché un uomo così lontano dalla grotta avesse comunque il volto rivolto verso quella luce. Le bambine lo ascoltavano come se quelle spiegazioni fossero la chiave di un mistero vecchio di secoli.
Poi la scena si fermò sulla capanna. La mucca e l’asino, anche loro delicatamente spinti, si avvicinarono alla mangiatoia, che aspettava: una culla vuota, due statuine in ginocchio, e un silenzio che sembrava più denso di tutto il resto. A quel punto la voce del nonno cambiò tono. Divenne più lenta, più raccolta.
E fu in quel momento che arrivò la domanda: “...e quando si riempirà la culla, nonno?”
Allora il racconto diventò Il Natale. Non quello dei negozi, né quello delle luminarie appese nelle vie: era il Natale custodito nelle sue mani, quello che aveva ascoltato da bambino, che aveva raccontato ai figli e ora passava alle nipoti. Parlò di un Dio Bambino annunciato, atteso, eppure misteriosamente bisognoso degli uomini che venivano a trovarlo. Dei pastori che si affrettavano portando doni semplici ma veri; del fuoco acceso per scaldarsi e per dire: siamo qui, lo stavamo aspettando. Gli angeli cantavano perché, in fondo, la gioia ha sempre bisogno di un coro.
Le bambine rimasero un attimo in silenzio, come quando una storia apre una porta che non si sa ancora se attraversare.
Poi una delle due scese dalla sedia con uno scatto improvviso: “Quando nasce Gesù Bambino… lo posso tenere io, nonno?” “Nonno, lo voglio tenere io!” fece eco l’altra. Il nonno sorrise, un sorriso che conteneva molti Natali insieme, e disse che forse, in un certo modo, Gesù Bambino voleva essere tenuto da entrambe.
Passarono gli anni. Arrivò anche un nipotino, e la culla continuò a riempirsi di piccole mani che volevano toccare il miracolo. Poi, lentamente, i bambini crebbero. Le statuine, sempre le stesse, iniziarono a ricevere meno visite, e il gregge non pascolò più per tutto l’appartamento. Eppure, in quella casa, il Natale non cambiò davvero.
Perché ogni dicembre, quando il presepe viene ricomposto sulla credenza, succede qualcosa che non ha bisogno di essere visto per essere vero: Gesù nasce ancora. Per i nonni, per i nipoti ormai grandi, e per chi entra in quella stanza e sente, forse senza capirlo, che una luce si accende come la prima volta.
